Contattaci per info

via Posillipo, 226 - 80123 Napoli

info@genitorinsieme.it

+39 366 6422367

Categoria: Rubrica scientifica

Donazione del sangue

Io dono
Tu doni
Egli dona
Noi doniamo
Voi donate
Essi Vivono

LA DONAZIONE DEL SANGUE

Nonostante i progressi delle scienze biologiche e della biochimica l’uomo rimane a tutt’oggi l’unica possibile sorgente di sangue. Questo fluido vitale, che rappresenta circa 1’8% del peso corporeo, composto di plasma, piastrine (vedi aferesi per la donazione), globuli bianchi e rossi ? irriproducibile. Il sangue compie un grande viaggio di andata e ritorno nel quale raggiunge tutti i punti del corpo e porta ossigeno alle cellule, le rifornisce di proteine, le difende dalle infezioni, e riporta indietro l’anidride carbonica e le scorie per l’espulsione. In casi come incidenti stradali, interventi chirurgici, malattie del sangue, ecc., c’? bisogno di sangue.

Il S.I.T. del Pausilipon provvede alla fornitura del sangue e delle piatrine necessarie ogni giorno nel Reparto di Onco – Ematologia, purtroppo a causa della carenza di donatori spesso i bambini restano lunghe ore in ospedale in attesa di una fornitura da altri centri.

Per averne disponibilit? ai fini terapeutici, ? necessario che, chi ? in buone condizioni di salute, spontaneamente ne dia un po’ del suo. tale atto ? un dovere civico, e come tale deve essere gratuito; nello stesso tempo ? una scelta intimamente personale e perci? deve essere volontario. Ogni anno sono circa 1.250.000 gli italiani che assicurano al Paese la disponibilit? di sangue. Ma la carenza donatori ? ancora forte, specialmente in Campania.

Chi pu? donare il sangue:

Chiunque, purch? sia sano, d’et? compresa fra i 18 ed i 65 anni, di peso corporeo non inferiore ai 50 Kg. Al momento della donazione devono essere nella norma, cio? nei limiti previsti dalla legge:

  • la temperatura corporea;
  • la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca;
  • i valori dell’emoglobina.

Il S.I.T. del Pausilipon accoglie i donatori tutti i giorni, escluso la domenica, dalle ore 8.00 alle ore 10.30.

Numeri telefonici utili:
S.I.T. “Servizio di Immunoematologia e di Medicina Trasfusionale” del Pausilipon,
Responsabile U.O. Dott. Corrado Perricone,
Info Donatori : Tel. 081 – 2205469

Chi non pu? donare il sangue:

Sospensione permanente – Condizioni patologiche o comportamentali che impediscono definitivamente la donazione a:

  • chi ? positivo per il test AIDS (anti-HIV 1/2);
  • chi ha contratto, anche in passato, un’epatite virale di tipo B o C;
  • chi ha contratto malattie veneree e risulta positivo per il test della sifilide (TPHA oVDRL);
  • chi soffre di patologie cardiovascolari importanti, ulcera gastrica o duodenale, anemia;
  • chi fa uso abitudinario di sostanze stupefacenti;
  • chi fa uso eccessivo di bevande alcoliche (alcolisti cronici);
  • chi ha rapporti sessuali o di convivenza con soggetti affetti da epatite virale, tossicodipendenti o con comportamenti a rischio per l’AIDS o le altre malattie trasmissibili con il sangue.

Sospensione temporanea – Condizioni patologiche o comportamentali che impediscono solo temporaneamente la donazione:

  • la gravidanza in atto ed il puerperio per un anno dopo il parto (o dopo un’interruzione di gravidanza);
  • gli interventi chirurgici in anestesia generale, negli ultimi sei mesi;
  • le trasfusioni di sangue ricevute negli ultimi cinque anni;
  • il soggiorno in zone endemiche per la malaria, nei sei mesi precedenti alla donazione, oppure l’attuazione di una profilassi antimalarica nei tre anni precedenti;
  • i rapporti sessuali con persone sconosciute negli ultimi sei mesi;
  • la sindrome influenzale, faringiti (mal di gola), gastroenteriti, alcuni tipi di terapia (es. antibiotici).

Esami di controllo che vengono effettuati ad ogni donazione:

Oltre all’accurata visita medica ogni volontario prima della donazione viene sottoposto ad un emocromo completo, ad esami di chimica-clinica (Azotemia, Glicemia, Colesterolo, Trigliceridi, ALT, AST, Proteine Totali, Creatinina, Sideremia, ecc.) per stabilire l’idoneit? alla donazione stessa.

Sull’unit? prelevata vengono inoltre effettuati gli esami previsti dalla legge trasfusionale:

Determinazione di gruppo ABO, Rh e Kell, Ricerca di Isoanticorpi immuni, test per l’HIV-Ab (Virus dell’Immunodeficienza), l’HBsAg (Epatite B), l’HCV-Ab (Epatite C), VDRL (test per la Lue o Sif?lide), ricerca dell’RNA virale per HCV e HIV mediante metodica NAT.

E se il donatore ? un lavoratore dipendente?

Il lavoratore dipendente che si reca a donare il sangue ha diritto per legge ad una giornata di riposo ed alla corresponsione della normale retribuzione. Infatti, la legge 4 maggio 1990 n.107 all’art. 13 dispone:

I donatori di sangue e di emocomponenti con rapporto di lavoro dipendente hanno diritto ad astenersi dal lavoro per l’intera giornata in cui effettuano la donazione, conservando la normale retribuzione per l’intera giornata lavorativa. I relativi contributi previdenziali sono accreditati ai sensi dell’articolo 8 della legge 23 aprile 1981,n. 155

Istiocitosi dell’infanzia

Articolo tratto dal GlobemoNews anno 1 n.3
redatto dalla Dott.ssa Carmen De Fusco

Le istiocitosi dell’infanzia costituiscono un gruppo di disordini proliferativi caratterizzati da infiltrazione e proliferazione di cellule del sistema reticolo-istiocitario. Si suddividono generalmente in tre classi. La classe I raggruppa le istiocitosi di derivazione dalle cellule dendritiche, la classe II le istiocitosi di derivazione dalle cellule macrofagiche e la classe III le istiocitosi maligne.

LE ISTIOCITOSI A CELLULE DI LANGERHANS

Tra le istiocitosi di derivazione dendritica il capitolo pi? rilevante ? quello delle Istiocitosi a cellule di Langerhans con una incidenza di un caso su 25000 bambini/anno.
Sono, oggi, raggruppate in una singola entit? nosologica rispetto al passato in cui esistevano varie denominazioni (Istiocitosi X, Granuloma eosinof?lo, Malattia di Hand-SchuIler-Christian, Malattia di Letterer-siwe).
Presentano una ampia variabilit? clinica, in genere lo scheletro ? interessato nell’80% dei casi seguito da cute, fegato e milza, sistema endocrino, sistema nervoso centrale, midollo osseo e tratto gastrointestinale.
Clinicamente si possono inquadrare in almeno due forme, una forma localizzata, con esordio lento generalmente al di sopra dei 3 anni ed interessamento prevalente dello scheletro, cute e linfonodi, con una prognosi, in genere, buona, e una forma sistemica, esordio acuto o subdolo, et? < 3 anni e prognosi nettamente peggiore. La diagnosi ? basata su criteri clinici, ematologici ed istologici.
Un paziente con interessamento sistemico pu? presentarsi con febbre, dolore, irritabilit?, scarso accrescimento, diarrea, intensa sete ed abbondante diuresi, otite ricorrente, segni neurologici, ittero, pallore, eritema cutaneo, ingrandimento del fegato e della milza, edemi, ingrandimento dei linfonodi, difficolt? respiratoria. Lo scheletro pu? essere interessato da tipiche lesioni osteolitiche, sormontate da granuloma eosinof?lo.
I dati di laboratorio rilevano un interessamento midollare con anemia, piastrinopenia, leucopenia, aumento degli indici infiammatori e di funzionalit? epatica. Le indagini strumentali pi? appropriate per stadiare la malattia sono la RX scheletro e la Risonanza Magnetica Nucleare. Per la diagnosi di certezza ? necessario riconoscere, su preparato istologico di midollo osseo o altro tessuto lesionale ( linfonodo, cute, fegato, tumefazione dei tessuti molli,) la morfologia e il fenotipo specifico per le cellule di Langerhans (S100, ATPase, CD1a).
Il protocollo terapeutico internazionale, denominato LCH III, stratifica i pazienti secondo due fasce di rischio:

  • alto rischio, per le forme multisistemiche con disfunzione d’organo che presentano una probabilit? di sopravvivenza, in caso di cattiva risposta alla terapia, molto bassa.
  • basso rischio per le forme senza disfunzione d’organo o localizzate, in cui la prognosi ? migliore ma la probabilit? di recidiva e cronicizzazione ? alta.

LA LINFOISTIOCITOSI EMOFAGOCITICA FAMILIARE

“Ogni anno in Italia un bambino su 50000 nati vivi si ammala di Linfoistiocitosi emofagocitica familiare(FHL), il 20% di questi muore precocemente, una quota equivalente rimane disabile in maniera permanente”. Sembra una notizia giornalistica ma la realt?, a volerla spiegare meglio, non ? molto diversa.
Siamo di fronte ad una patologia, la FHL, molto rara, a trasmissione genetica, difficile da diagnosticare e che presenta un esito per lo pi? infausto nel giro di pochi mesi se non trattata tempestivamente.

IL MESSAGGIO POSITIVO ? CHE DA QUESTA MALATTIA SI PU? GUARIRE

I fattori limitanti per ottenere un successo terapeutico sono vari e non tutti ancora affrontati:

  • solo recentemente sono stati identificati gli errori genetici che sono alla base del meccanismo patogenetico, molti sforzi devono essere ancora fatti per comprende a pieno la eziopatogenesi e le svariate forme sotto cui la malattia si pu? manifestare.
  • In genere colpisce i bambini in un’et? compresa tra i primi mesi di vita, si eredita con modalit? autosomica recessiva per cui l’eventualit? pi? frequente che si verifica ? che una coppia di giovani genitori conoscono la malattia quando il loro primo ed unico figlio ? affetto.
  • Questo pone due tipi di difficolt?: una diagnostica in quanto bisogna risalire a volte ai trisnonni per scoprire che c’? un grado di parentela che aumenta la probabilit? che i discendenti possano essere malati o per scoprire che in precedenza un membro della famiglia sia gi? stato colpito da questa malattia in tenera et? senza che abbia mai ricevuto una diagnosi corretta, ne una corretta terapia perch? difficilmente il soggetto malato avr? disponibile un fratello o sorella HLA compatibile per praticare un trapianto di midollo osseo.

COME RICONOSCERLA ED AFFRONTARLA

Si manifesta nel lattante con febbre, splenomegalia e pancitopenia ed ? caratterizzata da una massiva infiltrazione linfo-istiocitica di tutto il sistema reticolo-endoteliale (fegato,milza,midollo osseo, linfonodi) e del sistema nervoso centrale; gli istiociti si ritrovano in atteggiamento di attiva fagocitosi cio? di ingestione di altre cellule da cui il nome deriva la denominazione.
I sintomi iniziali sono aspecif?ci: febbre, infezione delle prime vie aeree, pallore, anoressia e irritabilit?. Solo quando la malattia entra in fase attiva, la situazione clinica diventa critica. Possono comparire ittero, un rash cutaneo persistente, ascite ed edemi; i segni neurologici come da ipertensione endocranica, segni meningei e convulsioni possono comparire in un quinto dei casi e possono essere tali da dominare il quadro clinico. La diagnosi differenziale si pone con altre patologie di altrettanta rilevanza clinica come la mononucleosi infettiva, la leucemia, le sepsi gravi, epatite ed encefalite o con altre sindromi genetiche e/o immunodeficienze gravi. A volte pu? essere scatenata o essere secondaria ad infezioni, le pi? frequentemente implicate sono quelle virali ma anche batteriche, parassitarie e fungine; anche le forme secondarie, denominate ” VAHS “possono essere associate ad alta mortalit?.
La patogenesi ? legata alla regolazione del sistema immunitario, con riduzione della citotossicit? cellulare, in particolare dei linfociti T e N.K. ed aumentata produzione di citochine.
Marker tipico ? il difetto severo della attivit? delle cellule N.K. che rappresentano le cellule Killer in grado, cio?, di uccidere le cellule bersaglio (cellule vecchie, disfatte, microrganismi patogeni come virus, batteri etc, cellule estranee come cellule atipiche o neoplastiche. Questa alterata apoptosi (morte programmata delle cellule) risulta in una proliferazione non controllata delle stesse cellule effettrici.
Alla base di questo difetto, recentemente sono state individuate una o pi? alterazioni genetiche. La prima di queste, identificata nel 30- 40% circa dei soggetti malati, consiste nella presenza di mutazioni nel gene della Perforina, proteina, in grado di formare un canale di trasmissione transmembrana del linfocita T ed N.K. per il passaggio di citochine effettrici del danno cellulare. La seconda pi? recentemente dimostrata, ? la mutazione Munch che produce una alterazione, a valle del meccanismo di apoptosi, nella formazione delle vescicole primarie che rilasciano le citochine aprendosi nella cellula bersaglio.
Appena viene posto il sospetto di una sindrome da attivazione istiocitaria e prima che entri nella fase attiva c’? bisogno di prendere in carico il paziente, accertarsi della diagnosi, attraverso procedure ultraspecialistiche, quali la valutazione morfologica del midollo osseo e/o linfonodo, la tipizzazione fenotipica del pannello linfocitario, la valutazione funzionale della attivit? N.K. ed eventualmente la determinazione della sequenza genetica delle mutazioni.
Eseguire una stadiazione della malattia con esami quali la TC, RM, rachicentesi.
Iniziare la terapia con tarmaci antineoplastici ed immunosoppressivi, in attesa di avviare il paziente ad un trapianto di midollo osseo da donatore HLA identico familiare e non, in grado di consolidare definitivamente la guarigione del paziente.

Domande frequenti (FAQ)

Elenco domande












Risposte

  • L?errore “umano” di tecnici e medici ? il tormento di ogni ammalato e nel nostro caso di ogni genitore di questi piccoli ammalati. Gli strumenti diagnostici sono tanti ma si pu? stare tranquilli? Ed in particolare viene riscontrato l?esame istologico su cui il medico basa la propria diagnosi?

L?errore umano ? sempre possibile ma si sono fatti molti progressi per limitare questi errori ad una percentuale estremamente bassa; in particolare, per la diagnosi di leucemia, l?esame del midollo osseo ? fondamentale:

  • il midollo viene visto al microscopio = esame morfologico
  • il midollo viene studiato con un apparecchio particolare = citofluorometria
  • un campione di midollo viene inviato con corriere ad un laboratorio centralizzato (Padova) che ripete tutto lo studio. Questa centralizzazione viene fatta in tutti i centri italiani che afferiscono all?AIEOP.

Per i linfoma e i tumori solidi in genere, la diagnosi viene fatta su un pezzetto del tumore (prelevato mediante biopsia chirurgica), che viene studiato dall?anatomopatologo. Anche per i tumori solidi esistono anatomo-patologi che revisionano tutte le diagnosi. Quando la diagnosi ? difficile, i vetrini possono essere rivisti da pi? patologi che possono in alcuni casi richiedere altro materiale bioptico.

Ritorno all’elenco delle domande


  • Pausilipon, una ottima Unit? Operativa ma all?inizio di questi particolari percorsi di cura i genitori vengono sommersi, da parenti e amici, di informazioni su vari centri specialistici del Nord Italia, che differenza, se esiste, pu? esserci?

Negli ultimi 10 anni i centri del sud hanno fatto un salto di qualit? enorme: Le diagnosi sono centralizzate. Le apparecchiature per supportare la diagnosi istologica (TAC, RMN, Scintigrafia, ect) sono presenti in tutti i centri accreditati come il Pausilipon.

Dal punto di vista “alberghiero” grossi miglioramenti sono stati fatti, grazie alle associazioni laiche, ed il volontariato.

Le nuove tecniche di comunicazione (internet, fax) consentono inoltre consulti in tempo reale.

Poich? le cure chemio-terapiche durano a lungo da 6 mesi a due anni ? preferibile che il paziente e la sua famiglia restino vicino alla loro residenza abituale.

Per particolari tecniche non realizzabili in loco un eventuale trasferimento sar? consigliato dal medico responsabile del reparto.

Ritorno all’elenco delle domande


  • Linfomi, Leucemie, ecc.: ? possibile datare, certo con approssimazione, l?inizio della malattia? Con il fine di capire se vi ? stato un particolare input ambientale.

Linfomi e leucemia sono malattie acute, per cui in genere i segni iniziali risalgono a 2-3 settimane.

I pediatri di base sono sempre pi? sensibilizzati al problema dei tumori pediatrici ed in genere inviano il paziente a strutture specializzate in tempo debito.

Per il problema dell?input ambientale , molti studi sono fatti ma non ci sono ancora risultati sicuri.

Ritorno all’elenco delle domande


  • Linfomi, Leucemie, ecc.: in quali casi ? opportuno un controllo degli altri componenti della famiglia al fine di escludere la possibilit? della stessa patologia? Se necessario quali esami fare?

Esistono delle famiglie che sembrano predisposte alle malattie tumorale (sindrome di Fraumeni). I componenti di queste famiglie devono fare dei controlli semplici una volta all?anno e consultare un centro specializzato al minimo segno patologico.

Ritorno all’elenco delle domande


  • Quale vita di relazione pu? condurre il bambino al di fuori della struttura ospedaliera quando non si trova in aplasia? Quali ambienti pu? frequentare?

Il bambino sottoposto a chemioterapia, anche se non ? in “aplasia” ? un paziente immuno-depresso, che pu? contrarre una infezione pi? facilmente di un paziente sano.

Di solito consigliamo una vita in famiglia il pi? normale possibile, limitando al minimo le visite di parenti o amici. In caso di uscite, evitare luoghi affollati come supermercati, cinema, discoteche ect.

Ritorno all’elenco delle domande


  • I genitori si interessano dei vari esami a cui vengono sottoposti i bambini sperando di leggere nei numeri, percentuali e poche righe di referto la certezza di un nuovo passo verso la guarigione, aiutateci a capire; Quali principali valori sono da osservare?

Alcuni genitori diventano veri e propri esperti sugli esami dei loro figli. Credo che la cosa migliore per non avere ansie sia di sottoporre gli esami fatti al medico referente per fax o per E-mail. Di solito se c?? un dato patologico il medico richiamer? il paziente.

Ritorno all’elenco delle domande


  • Controlli ematici a domicilio: In attesa di parlare con i medici della U.O. Pausilipon, quali valori dell?emocromo bisogna osservare e quali sono i valori critici di riferimento per determinare se il bambino ? in aplasia ed in quali casi ci? rende necessario il ricovero?

Emoglobina <7g/l, Globuli bianchi

Ritorno all’elenco delle domande


  • I bambini, soprattutto in ospedale, la “carotina” proprio non la gradiscono per cui chiedono alle mamme altre pietanze ed in particolare richiedono spesso la pizza (in tutte le sue specialit?). E? un alimento da evitare?

La pizza ? un alimento sano, gustoso che i bambini gradiscono e possono mangiare in quasi tutte le maniere (il buon senso aiuta molto i genitori a non esagerare).

Ritorno all’elenco delle domande


  • I bambini in aplasia: cosa non possono mangiare?

E? meglio evitare i cibi crudi (verdure fresche frutta fresca, latte fresco, latticini freschi ect) e preferire succhi di frutta per bambini rispettando la data di scadenza, latte a lunga conservazione e cibi cotti bene.

Ritorno all’elenco delle domande


  • I bambini NON in aplasia: possono mangiare di tutto?

Praticamente si, evitando il troppo sale e il troppo zucchero se stanno prendendo cortisone.

Il buon senso in genere aiuta e quindi si eviteranno frutti di mare, fritture, ect…

Ritorno all’elenco delle domande


  • I genitori, con la mente offuscata dai primi momenti post diagnosi, mal ricordano il piano di cura, per cui si osservano delle riunioni o pausa caff? tra mamme per sapere, da quella che si ritiene essere avanti con la cura, quale sar? il passo successivo. A tal proposito esiste o ? possibile creare delle guide con tutte le informazioni per ogni principale tipologia trattata?

Le notizie date da altre mamme o da volontarie sono soggettive e non sempre esatte. Se un genitore ha un dubbio deve chiedere un colloquio al medico referente. Al Pausilipon, al momento della comunicazione della diagnosi, vengono date ampie informazioni sulle cure che saranno praticate. Spesso in questa prima fase i genitori frastornati non capiscono quasi niente, ma possono successivamente ritornare dal medico referente per ulteriori spiegazioni.

Ritorno all’elenco delle domande


Leucemie

Articolo tratto dal GlobemoNews anno 1 n.1
redatto dalla Dott. Aldo Misuraca

LE LEUCEMIE INFANTILI

Cari genitori,
mentre scrivo questo articolo, alcuni di voi sono impegnati con tutte le forze ad aiutare i vostri figli colpiti dalla Leucemia. Voglio subito dirvi che noi siamo al vostro fianco. Noi lottiamo con voi; questa ? anche la nostra guerra! E facciamo il possibile, credete, per onorare la fiducia che ci avete riposto. Abbiamo il difficile compito di debellare il nemico e, per farlo, dobbiamo lavorare insieme, creare quella alleanza terapeutica di cui oggi tanto si parla, e che io credo si possa raggiungere solo quando si crei, tra tutte le figure che accudiscono il bambino in ospedale, un rapporto fortemente orizzontale in cui tutti abbiano un ruolo attivo e godano di stima e fiducia. Questi argomenti che verranno via via trattati nel nostro giornalino hanno l’obiettivo di fornirvi esaustive informazioni riguardo la patologia che affligge vostro figlio e, quindi, un ampliamento delle potenzialit? di giudizio critico. In questo modo la famiglia viene sempre pi? coinvolta nell’alleanza terapeutica e nel dialogo – comunicazione; allo stesso tempo l’ansia si trasforma in energia costruttiva, in progettualit? dinamica e condivisa. E’ una strategia di comunicazione e coinvolgimento tesa a rafforzare il rapporto di fiducia bilaterale con una crescita comune.

CLASSIFICAZIONE DELLE LEUCEMIE

LEUCEMIE LINFOFOBLASTICHE ACUTE (LLA)

  • pre – pre B
  • B – common
  • pre – B
  • B
  • pre-T
  • T

LEUCEMIE MIELOIDI ACUTE (LMA)

  • MO = Mieloide indifferenziata
  • M1 = Mieloide
  • M2 = Mieloide
  • M3 = Promielocitica
  • M3V = Promielocitica variante
  • M4 = Mielomonocitica
  • M5a = Monoblastica
  • M5b = Monocitica
  • M6 = Eritroleucemia
  • M7?= Megacarioblastica

LEUCEMIE MIELOIDI CRONICHE (LMC)

  • LMC = tipo adulto
  • LMC = tipo giovanile

La Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA)

I progressi conseguiti nel corso di questi ultimi 20 anni nel settore dell’Ematologia sia clinica che di laboratorio hanno decisamente modificato lo scenario diagnostico e terapeutico della maggior parte delle malattie del sangue. Grazie alle nuove acquisizioni biologiche, in particolare in campo citogenetico e molecolare, sono stati elaborati nuovi protocolli di trattamento sempre pi? tesi ad ottenere maggiore specificit? d’azione e, di conseguenza, maggiore probabilit? di guarigione. La disponibilit? poi di una migliore terapia di supporto anti-infettiva e trasfusionale, l’introduzione dei Fattori di Crescita Emopoietici (che stimolano il midollo osseo a produrre globuli rossi e globuli bianchi) e l’uso delle Cellule Staminali Emopoietiche (che sono cellule totipotenti, prelevate dal midollo osseo, in grado di ?rigenerare? il midollo ammalato) hanno determinato un enorme miglioramento della prognosi delle leucemie linfoblastiche acute. Tutto questo ha portato ad ottenere negli ultimi anni la possibilit? di successo (=guarigione) in circa 3 casi su 4.

Si aggiunga inoltre la possibilit? di trattare i casi resistenti, quelli pi? difficili, con il trapianto di midollo osseo, potendo cos? ottenere il successo in una ulteriore percentuale di casi resistenti alla terapia.

La LLA ? una malattia neoplastica del tessuto emopoietico (= tessuto che forma il sangue), caratterizzata da una proliferazione (= aumento di numero) clonale (= tutte le cellule leucemiche derivano da una unica madre e sono tutte uguali tra di loro) del tessuto linfoide.

Il tessuto emopoietico che produce le cellule del sangue ? localizzato nel midollo osseo. Quindi la sede di insorgenza della leucemia ? il MIDOLLO OSSEO.

Il midollo osseo ? localizzato nelle ossa del bacino, nello sterno, nelle vertebre e nelle ossa lunghe. Compito del midollo osseo ? quello di provvedere per tutta la vita al ricambio degli elementi del sangue che sono i globuli rossi, i globuli bianchi e le piastrine. Infatti un globulo rosso ha una vita media di 120 giorni, le piastrine di 10 giorni, i neutrofili meno di un giorno. Nel midollo esistono cellule totipotenti (le famose cellule staminali!) che danno origine, per differenziazione (= trasformazione da un tipo a molti tipi cellulari), a tutte le altre linee cellulari. La trasformazione in cellule specializzate (globuli bianchi rossi e piastrine) e la stessa proliferazione cellulare, ? regolata da fattori di crescita specifici per ogni linea maturativa che si legano alle cellule del midollo tramite dei recettori di superficie, come una chiave che entra nella sua serratura.

Le cellule del sangue hanno delle funzioni specifiche. Semplificando si pu? dire che: i Globuli Rossi hanno la funzione di trasportare l’ossigeno ai tessuti; le Piastrine hanno la funzione di assicurare un’adeguata coagulazione del sangue in caso di ferite o traumi; i Globuli Bianchi ci difendono dalle infezioni (i neutrofili da quelle batteriche e fungine; i linfociti da quelle virali). Ora, sapendo che la LLA ? una malattia del midollo osseo in cui le cellule linfatiche maligne (i linfoblasti) proliferano e sostituiscono le normali cellule emopoietiche, si possono facilmente dedurre quali siano i sintomi della malattia. La carenza dei Globuli Rossi, che si definisce Anemia, porta a malessere, stanchezza, pallore, tachicardia. La carenza di Piastrine (PLT) porta ad emorragia a livello della cute e delle mucose con petecchie, ecchimosi, sanguinamento dal naso.

La carenza dei Globuli Bianchi o il loro cattivo funzionamento causa infezioni, spesso gravi, con febbre e malessere generale. La proliferazione dei Linfoblasti all’interno del Midollo Osseo porta anche dolori ossei e articolari. Infine i Blasti che escono dal midollo e passano nel sangue periferico fanno aumentare il numero dei globuli bianchi creando grossi problemi al sistema cerebrale, circolatorio e respiratorio; inoltre possono anche andare a localizzarsi in altri organi come il fegato, la milza, i tessuti, i reni, le meningi etc. con gravi alterazioni a carico degli organi colpiti.

Per fare la diagnosi di Leucemia si preleva il midollo osseo dal bacino e si esamina in vari modi:

  1. Si “striscia” su dei vetrini che si colorano e si osservano al microscopio ottico. Si identificano cos? i blasti, che hanno sostituito nel midollo le cellule normali. Questa tecnica ci permette di vedere fino a 5 cellule malate su 100 sane.
  2. Si studia sul prelievo midollare l?immunofenotipo (cio? l’aspetto = fenotipo immunologico dei blasti); ? questa una specie di carta di identit? della cellula, infatti ogni cellula produce ed espone sulla propria membrana cellulare alcune molecole diverse a seconda del tipo cellulare; con speciali tecniche che utilizzano anticorpi diretti contro queste molecole si identificano perfettamente il tipo di cellule e anche il livello di maturazione delle stesse. Questa tecnica ci permette, alla fine, di capire se la cellula che si ? ammalata ? una linfoide (leucemia linfoblastica) o mieloide (leucemia mieloide). Questo studio immunologico ci permette, inoltre, di valutare quanto immatura ? la cellula malata, cio? a che punto della maturazione normale delle cellule del midollo ? intervenuto quel “qualcosa” che ha fatto insorgere la leucemia.
  3. Si studiano i cromosomi delle cellule del midollo (citogenetica), si fa, cio?, il cariotipo e si vede se vi sono alterazioni di numero e di forma dei cromosomi. Serve per cercare di capire l’origine della malattia. Trovare un’alterazione sui cromosomi permette di distinguere le leucemie “buone” da quelle “cattive” e di modulare la terapia.
  4. Si fa, infine, lo studio di biologia molecolare; si studiano,cio?, i geni che possono essere alterati dal processo leucemico, alcuni dei quali sono coinvolti nei processi di alterazione leucemica (ONCOGENI). Il significato di questo studio ? analogo a quello citogenetico (dei cromosomi) ma, attraverso tecniche molto sofisticate, permette di trovare una cellula leucemica anche su 100000 cellule sane. Questo permette anche di studiare la cosiddetta Malattia Residua Minima, che si attua in momenti prestabiliti della terapia ed alla fine, ed ? perci? utile sia per valutare meglio la guarigione, ma soprattutto di personalizzare meglio l’intensit? della chemioterapia rispetto al passato.

La terapia della LLA ? una modalit? di cura standardizzata, elaborata in modo cooperativo dai migliori studiosi italiani ed esteri, e alla quale tutti i centri di cura, italiani ed europei, si attengono.

La terapia si avvale di molti farmaci chemioterapici usati insieme a gruppi ed in sequenza (? come una ricetta di una torta). I farmaci non sono perfettamente selettivi, perci? mentre colpiscono duramente le cellule leucemiche, colpiscono in parte anche i tessuti normali. Ecco perch? come conseguenza della terapia, affianco alla probabile guarigione, si hanno anche effetti collaterali transitori quali la caduta dei capelli, l’aumento del peso, la mucosite, il cambiamento del carattere, l’aplasia con anemia (necessit? di trasfondere globuli rossi), piastrinopenia (necessit? di trasfondere piastrine) e diminuzione dei globuli bianchi con possibili infezioni. La terapia, inoltre, comporter? un certo grado di sofferenza del bambino, comunque accettabile e che si cercher? di ridurre il pi? possibile con gli interventi idonei. Ecco perch? ? necessario approntare una rete organizzata che sia in grado di affrontare le molteplici problematiche della malattia, specialmente nei momenti critici; medici, infermieri, caposala, psicologhe, insegnanti, genitori, mettono a disposizione le loro competenze ed il loro entusiasmo per l’alleanza terapeutica.

Per le leucemie linfoblastiche la terapia dura due anni, ma solo i primi sei mesi sono i pi? duri.

Il grande miglioramento nella cura delle leucemie acute osservate negli ultimi venti anni (con progressione di guarigione dal 10% al 75%) non ? dovuto a nuovi farmaci (la Vincristina si usava gi? allora), ma al modo con cui i farmaci sono usati (la ricetta!). La ricetta migliora sempre e ogni cinque anni cambia. Per poterla cambiare e migliorare, bisogna provare nuove miscele. Questo ? il succo della ?randomizzazione”.

Rispetto alla ricetta precedente (’95) il protocollo 2000 (quello in atto) prevede dei piccolissimi cambiamenti (es. prednisone nome commerciale deltacortene, o desametazone nome commerciale decadron) e la met? dei bambini usa un ingrediente (deltacortene) mentre l’altra met? usa l’altro ingrediente (decadron). La scelta ? a caso (random) ed ? fatta da un computer. I genitori sono liberi di voler partecipare a questa scelta (altrimenti useranno la vecchia ricetta). E’ utile precisare che, non avendo molte notizie riguardo la malattia e la sua origine, il protocollo terapeutico ? l’unica certezza di cui disponiamo per vincere la “nostra” battaglia. Il protocollo terapeutico ? il frutto di una sperimentazione di 25 anni di centri che curano le leucemie del bambino. I bambini curati in passato sono “serviti” per portare i nostri fuori dalla Leucemia! Per cui ?, oggi, una sperimentazione gi? avanzata, sempre pi? particolareggiata, cio? in grado di curare i particolari della malattia e sempre pi? mirata a quel tipo di cellule leucemiche. E’ il perfezionamento di una sperimentazione precedente per arrivare ad una terapia sempre pi? vincente. E, a sua volta, la sperimentazione di oggi servir? ai bambini di domani. E’ un cammino che servir? ad altri come il cammino degli altri ? servito a noi.

Anche se i risultati ottenuti negli ultimi anni sia in Europa che in America sembrano dimostrare una maggior efficacia del decadron (valutata in circa il 5%), c’? da dire, per?, che sono stati attuati dei protocolli diversi dai nostri e che il decadron ? accompagnato da un pi? alto rischio di tossicit?. In ogni caso nessuno dei medici ? a conoscenza se una delle due terapie ? migliore dell’altra.

Molti sono oggi i bambini guariti; i danni a distanza modestissimi; nella maggior parte dei casi questi ragazzi si dimostrano ben inseriti nel contesto familiare, sociale e risultano caratterialmente pi? forti, pi? maturi e sensibili ai problemi degli altri rispetto ai coetanei.

LEUCEMIA MIELOIDE

L?80% delle leucemie infantili sono rappresentate dalla forma linfoblastica, il restante 20% dalla forma mieloide.

La leucemia mieloide o mieloblastica ? caratterizzata dall’abnorme e incontrollata produzione di un clone cellulare (cio? cellule tutte uguali tra di loro, che derivano da una unica madre: una cellula mieloide trasformata in neoplastica). Come conseguenza, nel sangue circolano, granulociti anomali o immaturi: i mieloblasti.

La leucemia mieloide pu? presentarsi in forma acuta e cronica, quest’ultima rara nei bambini.

LEUCEMIA MIELOIDE ACUTA (LAM)

In rapporto al tipo e al grado di differenziazione del clone cellulare interessato si possono riconoscere diverse forme di LAM (vedi tabella).

I bambini con Sindrome di Down hanno un rischio accresciuto di sviluppare una LAM.

I sintomi sono comuni alle leucemie linfoblastiche acute: anemia grave, aumento notevole del volume della milza, febbre, dolori ossei.

II trattamento della LAM differisce enormemente da quello della LLA perch? si utilizzano farmaci e schemi diversi, seguiti sempre da trapianto di midollo osseo (TMO) che pu? essere allogenico (da fratello o da donatore) o autologo (utilizzando il midollo “pulito” dello stesso paziente). Il TMO allogenico da fratello HLA identico (compatibile geneticamente) sembra rappresentare, per il bambino con LAM, il trattamento in grado di assicurare una maggiore percentuale di guarigione.

Siamo arrivati, dunque, al punto dolente: le percentuali di guarigione. E vero che la leucemia mieloide ha una percentuale di guarigione inferiore rispetto alla linfoblastica? Se dobbiamo rimanere nel campo sterile di numeri e percentuali le statistiche dicono che i bambini con leucemia linfoblastica hanno pi? probabilit? di guarigione (di circa il 75%) rispetto a quelli con leucemia mieloide (di circa 55%)! Ma oggi le cose sembrano non essere pi? catalogabili; basti pensare che la M3, la leucemia promielocitica acuta che fino a pochi anni fa era considerata la forma leucemica pi? pericolosa, oggi ha una percentuale di guarigione di circa il 90%, grazie alla recente scoperta che la somministrazione dell’acido all-trans retinoico (ATRA), precursore della vitamina A , aiuta le cellule tumorali del midollo a maturare normalmente fino a diventare globuli bianchi; cio? invece di uccidere la cellula la spinge verso la normalit? evitando quindi di vuotare il midollo di tutte le sue cellule, comprese quelle buone. Purtroppo l’ATRA funziona solo per la M3 e non si sa perch?! Un altro ruolo importante giocano un cariotipo (l’esame dei cromosomi) favorevole, il numero dei globuli bianchi alla diagnosi (specialmente se inferiori a 20.000), l’eosinofilia (fattore benigno) e la possibilit? di effettuare precocemente il trapianto di midollo.

LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA (LMC)

Solo il 2% delle LMC si manifesta sotto i vent’anni di et?; si distingue da tutti gli altri tipi di leucemia per la presenza di un’anomalia genetica chiamata cromosoma Philadelfia, costituito da un cromosoma pi? corto rispetto a quello presente nei soggetti sani. Nelle cellule umane normali sono presenti 22 coppie di cromosomi numerate da 1 a 22, pi? 2 cromosomi del sesso (un cromosoma x e uno y nell?uomo e due cromosomi x nella donna). Il cromosoma Philadelfia ? il cromosoma 22 che si presenta anomalo. Studi pi? recenti hanno dimostrato che nella LMC l’alterazione coinvolge non solo il cromosoma 22 ma anche il cromosoma 9. In particolare i frammenti di questi cromosomi si scambiano tra di loro; il frammento che si stacca dal cromosoma 9 va ad attaccarsi alla porzione rotta del cromosoma 22, mentre il frammento che si stacca dal cromosoma 22 si posiziona sulla porzione rotta del cromosoma 9. Questo scambio di materiale cromosomico che non si verifica mai in condizioni normali viene definito traslocazione.

Il cromosoma Philadelfia pu? essere presente anche nella LAL ma si ritiene che rappresenti, in questo caso, la trasformazione di una LMC in LAL piuttosto che una LAL de novo.

Le cause che determinano queste rotture cromosomiche non sono note. In una piccola percentuale di pazienti la causa ? secondaria all’esposizione a radiazioni (come nella popolazione giapponese sopravvissuta alla bomba atomica). L’esposizione per indagini radiologiche non ? invece associata a incremento di rischio di leucemia.

I sintomi: all’esordio tale patologia pu? essere totalmente asintomatica, tranne la presenza di forte pallore, mancanza di forze, perdita di peso, dolore al fianco sinistro (per l’ingrossamento della milza). In questo periodo la LMC viene diagnosticata per controlli occasionali. Col passare dei mesi o anni la malattia diventa sempre pi? simile alla leucemia mieloide acuta con aumento dei globuli bianchi maggiore di 100.000, anemia grave, riduzione o aumento delle piastrine e della milza, dolori ossei.

La terapia ? rappresentata dal trapianto di midollo osseo allogenico da fratello HLA identico o da donatore volontario, preceduto da una poli-chemioterapia poco intensiva. I migliori risultati si ottengono quando il trapianto viene effettuato precocemente (intervallo diagnosi-TMO inferiore ad 1 anno).

Linfoma di Hodgkin

Articolo tratto dal GlobemoNews anno 3 n.7
redatto dalla Dott.ssa Marie France Pinta Boccalatte

CHE COS’? IL LINFOMA DI HODGKIN?

II linfoma di Hodgkin – detto anche linfogranuloma maligno – ? un tumore maligno del sistema linfatico. Le affezioni maligne che colpiscono il sistema linfatico vengono convenzionalmente suddivise in due tipi principali: il linfoma di Hodgkin, da una parte, e i linfomi non Hodgkin, dall’altra.

Il linfoma di Hodgkin, come altre forme di tumore, ? una malattia delle cellule. Di norma, la divisione delle cellule avviene in maniera ordinata e controllata, ma se, per un qualsiasi motivo, questo processo impazzisce, le cellule continueranno comunque a dividersi, formando una massa che si definisce ‘tumore’.

Nel caso del linfoma, le cellule tumorali crescono nei linfonodi, o linfo-ghiandole, che fanno parte del sistema linfatico. A volte le cellule tumorali possono diffondersi invadendo altri linfonodi e a volte possono infiltrarsi nel circolo ematico che le trasporta ad altri organi (parenchima polmonare, fegato, midollo osseo) e si parla di localizzazione extralinfatica. Di solito, per?, il linfoma di Hodgkin invade i distretti linfonodali, ossia i gruppi di linfonodi pi? vicini; si estende cio? per contiguit?. Il medico ? in grado di stabilire se un linfoma ? del tipo Hodgkin o non Hodgkin asportando un linfonodo ed esaminandolo al microscopio. Questo esame prende il nome di biopsia. Il trattamento del linfoma di Hodgkin, anche quando si ? diffuso dal sito primitivo, ossia ha formato metastasi, ottiene risultati molto positivi e sono molti i malati che oggi guariscono, o che riescono a tenere la malattia sotto controllo per molti anni.

QUAL ? LA DIFFERENZA TRA IL LINFOMA DI HODGKIN E IL LINFOMA NON HODGKIN?

Pur essendo entrambi tumori maligni del sistema linfatico, la differenza ? sostanziale, il che vuoi dire che richiedono un trattamento diverso. Nel linfoma di Hodgkin si reperta una particolare cellula anomala che si chiama cellula di Reed-Sternberg, che, invece, non si trova in altre forme di linfoma, che per questo vengono definiti ‘non Hodgkin’.

QUALI SONO I SINTOMI DEL LINFOMA DI HODGKIN?

Il primo sintomo del linfoma di Hodgkin ? di solito un gonfiore indolore localizzato al collo, alle ascelle o all’inguine. Il quadro sintomatologico pu? comprendere inoltre:

  • sudore eccessivo, soprattutto di notte;
  • febbre irregolare, pomeridiana o serale;
  • perdita dell’appetito, calo di peso e senso di spossatezza;
  • tosse secca insistente;
  • prurito persistente su tutto il corpo;

ma non necessariamente tutti devono essere presenti. Se vostro figlio accusa uno qualsiasi dei suddetti sintomi, recatevi al pi? presto dal vostro medico per una visita, ma tenete presente che esistono molte altre condizioni patologiche che possono determinare questa sintomatologia e che la maggior parte di coloro che riscontrano tali sintorni non risulter? affetto da linfoma.

COME VIENE FORMULATA LA DIAGNOSI?

Normalmente il primo passo da compiere ? sempre quello di rivolgersi al proprio medico curante, che visiter? il paziente e gli prescriver? gli esami e le radiografie del caso. ? probabile che il medico curante ritenga opportuno farlo ricoverare in ospedale sia per effettuare tali esami sia per un consulto specialistico e per il trattamento. Tuttavia l’unico modo in cui il medico pu? formulare con certezza la diagnosi ? la biopsia linfonodale, procedura che, come gi? detto, consiste nell’esaminare al microscopio un linfonodo ingrossato asportato chirurgicamente. L’intervento ? molto semplice effettuato nei bambini sempre in anestesia generale.

ULTERIORI ESAMI

Se la biopsia evidenzia un linfoma di Hodgkin, il centro di oncologia pediatrica dovr? approfondire gli accertamenti per stabilire esattamente lo stadio della malattia. Si distinguono 4 stadi : I, II, III, IV a secondo del numero e della posizione dei linfonodi colpiti. All’indice numerico, il linguaggio medico affianca per convenzione anche le lettere – A o B – per indicare l’eventuale presenza di sintomi. Se ? asintomatico, sar? classificato come A, in caso contrario come B. Una volta che il medico avr? accertato dove ? localizzato il linfoma di Hodgkin e stabilito se ? sintomatico o asintomatico, potr? pianificare il trattamento pi? efficace per il caso. Gli esami che potr? ritenere opportuno praticare per stabilire lo stadio clinico potranno comprendere una o pi? delle seguenti procedure:

  • Analisi del sangue
  • Radiografia del torace
  • Ecografia
  • TAC
  • Esame e Biopsia del midollo osseo
  • Risonanza magnetica nucleare (RMN)
  • Scintigrafia con gallio

QUALI SONO I TIPI DI TRATTAMENTO USATI?

I principali tipi di trattamento del linfoma di Hodgkin sono la chemioterapia e la radioterapia che possono essere usate da sole o in combinazione. Comunque verr? seguito un protocollo di cura nazionale (viene usato in tutti i centri di oncologia pediatrica che fanno riferimento all’AIEOP : Associazione Italiana di Oncologia ed Ematologia Pediatrica). Il protocollo AIEOP in uso adesso ? il protocollo MH -2004. Alla diagnosi verr? spiegato con molti particolari in che cosa consiste la terapia, quali sono i benefici, gli effetti collaterali e tutti i possibili effetti tossici. Dopo verr? chiesto di firmare un documento chiamato “Consenso informato”.

LA CHEMIOTERAPIA

Consiste nell’impiego di particolari tarmaci anticancro, detti citotossici o antiblastici, per distruggere le cellule tumorali. Tali tarmaci hanno l’effetto di inibire la crescita delle cellule neoplastiche. Poich? sono trasportati dal sangue, tali preparati possono raggiungere le cellule tumorali in ogni parte dell’organismo.
I farmaci chemioterapici vengono somministrati comunemente per endovena. La chemioterapia pu? essere eseguita come trattamento ambulatoriale, ma spesso potrebbe richiedere un breve periodo di degenza in ospedale.

IL CATETERE VENOSO CENTRALE

Per alcuni malati che vengono sottoposti a una chemioterapia pi? intensiva potrebbe essere necessario inserire in una grossa vena del collo una lunga cannula di plastica che prende il nome di “Catetere Venoso Centrale” (CVC). Il CVC viene applicato in anestesia totale. Una volta inserito, viene fissato al torace per mezzo di punti o con un cerotto per evitare che fuoriesca dalla vena. Il CVC pu? rimanere in vena per diversi mesi; attraverso di esso ? possibile non solo iniettare i chemioterapici, ma anche effettuare i prelievi di sangue per gli esami periodici, evitando in tal modo al paziente il fastidio di doversi sottoporre ad altre punture venose. Il CVC pu? essere rimosso con facilit?.

EFFETTI COLLATERALI

Non tutti i farmaci chemioterapici causano gli stessi effetti collaterali e non tutti i malati li accusano, anzi alcuni non ne soffrono affatto. Verranno spiegati all’inizio del trattamento tutti gli eventuali effetti tossici dei farmaci.

LA RADIOTERAPIA

La radioterapia consiste nell’uso di radiazioni ad alta energia per distruggere le cellule tumorali, cercando al tempo stesso di danneggiare il meno possibile le cellule normali. La radioterapia ? un trattamento locale, che si esegue previo centraggio, ossia la demarcazione delle zone da irradiare, e pu? essere attuata se le cellule tumorali sono gi? state aggredite dalla chemioterapia che le ha molto ridotte. Il trattamento viene effettuato presso il centro di radioterapia convenzionato pi? vicino al domicilio del paziente. Il ciclo si compone di solito di cinque sessioni dal luned? al venerd? con una pausa nel week-end. La durata del trattamento dipende dal tipo di tumore e dalle sue dimensioni, ma di solito si protrae per circa quattro settimane. A volte, sempre per fare in modo che i tecnici abbiano un quadro quanto pi? chiaro possibile della zona da irradiare, la pianificazione del trattamento potrebbe contemplare anche l’esecuzione di una TAC della zona da irradiare. Durante il trattamento (vero e proprio), che durer? solo qualche minuto, il paziente rimarr? solo nella sala, ma potrete comunicare con lui dalla stanza a fianco. La radioterapia non ? dolorosa, ma ? necessario che il paziente rimanga assolutamente immobile fino a che la sessione di trattamento non sar? terminata. Per qualche bambino molto piccolo potrebbe essere necessaria una sedazione. La radioterapia ? parte integrante della terapia e viene di solito praticata quando sono terminati i cicli di chemioterapia.

RECIDIVA

Se il linfoma non risponde in maniera soddisfacente alla chemioterapia standard o recidiva dopo il trattamento standard, si pu? provare con una chemioterapia ad alte dosi con supporto di cellule staminali (auto-trapianto).

Molti malati di linfoma di Hodgkin guariscono, anche se la malattia si ? diffusa ad altri organi (circa 80/85% con l’ultimo protocollo AIEOP MH-1996). Potreste venire a sapere che altri pazienti ricoverati presso lo stesso ospedale ricevono un trattamento diverso dal vostro. Ci? dipende dal fatto che la malattia da cui sono affetti si presenta in forma diversa e, di conseguenza, le loro esigenze sono diverse. Se volete saperne di pi? su questa malattia potete andare su internet sul sito dell’AIMaC o chiedere per E-Mail a mariefrance@libero.it