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Categoria: Rubriche

La donazione del sangue del cordone ombelicale

Da sempre essere legati ad “un cordone ombelicale” ha il significato (un po’ freudiano) di avere un forte legame, quasi di dipendenza da qualcuno o da qualcosa. Ebbene mai espressione pi? calzante; da quasi otto anni il mio lavoro al Pausilipon ? legato …ad un cordone.
Questa attivit?, infatti, consiste nel raccogliere, trattare (manipolare), definire le caratteristiche (caratterizzare) e conservare (stoccare) le cellule contenute nel sangue di cordone ombelicale, che sono prevalentemente cellule staminali emopoietiche, cellule cio? capaci di generare se stesse (autorinnovarsi) e contemporaneamente produrre (differenziarsi) le cellule del sangue: globuli rossi, globuli bianche e piastrine.
Dott.ssa Anna Canazio

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PER INFORMAZIONI:
Ba.S.C.O. Regione Campania
Ospedale Pausilipon
Via Posillipo, 226 – 80123 – Napoli
Tel: 081.2205511/5581
Fax: 081.2205495
www.santobonopausilipon.it
E-mail: bascocampania@libero.it

LE CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE

Normalmente la sede di produzione delle cellule staminali emopoietiche ? il midollo osseo, una sostanza dall’aspetto di gelatina che si trova negli spazi trabecolari delle ossa spongiose, soprattutto cio? ossa piatte ed estremit? delle ossa lunghe. Anche le cellule del sangue di cordone, come le cellule del midollo osseo, contengono cellule staminali e possono essere utilizzate per sostituire le cellule staminali emopoietiche malate in quei pazienti affetti da alcune forme di leucemia, da aplasia, da immunodeficienza congenita (anomalia della risposta del sistema immunitario), da malattie genetiche come la Anemia Mediterranea o l’Anemia di Panconi, da Istiocitosi, etc. pertanto possono essere utilizzate per praticare il Trapianto di Midollo Osseo, quando le terapie farmacologiche non sono efficaci o non garantiscono la guarigione.

IL TRAPIANTO DI MIDOLLO TRADIZIONALE

La realizzazione del trapianto con metodo tradizionale prevede il prelievo delle cellule dalla matrice ossea di un donatore compatibile, da un soggetto cio? le cui cellule hanno le stesse caratteristiche del paziente che le deve ricevere (antigeni del sistema HLA); in relazione al grado di parentela esistente tra donatore e ricevente si distinguono tre tipi di trapianto:

  • TMO allogenico related se il donatore ? un familiare, generalmente fratello del paziente;
  • TMO allogenico unrelated se il donatore ? un volontario iscritto nei registri intemazionali di donatori e non ha alcun grado di parentela con il paziente;
  • Auto-trapianto se il paziente dona per se stesso, quando la malattia ? in remissione, perch? non ha un donatore.

Attingendo a questi “depositi” ? possibile trapiantare solo una parte dei pazienti che hanno necessit? di un trapianto e precisamente:

  • 32% circa dei pazienti con il midollo di un fratello compatibile;
  • 30% circa dei pazienti con il midollo di un donatore volontario da registro;
  • 38% rimanente non ha un donatore e non pu? usufruire del trapianto.

LE “NUOVE RISERVE” DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE

Per questo motivo sono state ricercate nuove fonti di cellule staminali ed il sangue di cordone ombelicale (SCO) ha risposto perfettamente allo scopo. Il sangue di cordone pu? essere prelevato:

  1. immediatamente dopo il parto per la nascita di un fratellino del paziente (cordone dedicato);
  2. immediatamente dopo il parto di una donatrice volontaria (cordone di banca).

Nel 1989 la dottoressa Eliane Gluckmann ha eseguito il primo TMO con cellule staminali da sangue di cordone del fratellino di un paziente affetto da Anemia di Panconi, una malattia ereditaria caratterizzata da grave alterazione delle cellule staminali, che nella maggioranza dei casi ha una cattiva prognosi. Il successo di questa prima esperienza ha incoraggiato la nascita delle Banche di Sangue di Cordone Ombelicale, laboratori specializzati nella manipolazione e conservazione delle cellule staminali da sangue di cordone, prezioso dono di tutte le mamme che autorizzano il prelievo del sangue durante il proprio parto.

LA BANCA DI SANGUE DI CORDONE OMBELICALE DELLA REGIONE CAMPANIA

Nel Dipartimento di Oncologia della Azienda Santobono-Pausilipon ? attiva la Banca di Sangue di Cordone Ombelicale (Ba.S.C.O.) della Regione Campania.

COME E DOVE SI DONA

Tutte le donne possono donare il sangue di cordone durante il proprio parto purch? in buona salute (i requisiti sono simili a quelli di una donazione di sangue). ? necessario inoltre effettuare preventivamente un colloquio con il ginecologo curante, che provvede a dare spiegazioni, a raccogliere le notizie di salute (anamnesi), a far sottoscrivere un consenso; ? richiesta la disponibilit? a sottoporsi ad un normale prelievo di sangue al momento del parto e a distanza di sei mesi dal parto.

La donazione non comporta alcun rischio per il neonato, perch? si esegue dopo il taglio del cordone, ne per la mamma, in quanto il sangue ? raccolto sulla placenta che si deve espellere; inoltre ? assolutamente gratuita e niente ? dovuto ne alla Banca ne al ginecologo-ostetrico.

? possibile donare in una delle strutture abilitate alla raccolta, cio? in un Centro Raccolta Sangue Cordone Ombelicale (C.Ra.S.C.O.). Attualmente fanno parte della rete regionale campana le U.O.C, di Ostetricia e Ginecologia degli Ospedali elencati:

NAPOLI

  • Ospedale Fatebenefratelli
  • Ospedale Incurabili SUN
  • Ospedale Santa Maria della Piet? Nola
  • Ospedale Rizzoli Ischia
  • Ospedale San Giovanni Bosco
  • Ospedale Pozzuoli
  • Ospedale San Paolo
  • Ospedale San Gennaro*
  • Ospedale Loreto Mare*
  • Ospedale Boscotrecase*
  • Ospedale Castellammare*
  • Ospedale Capri*
  • Villa Cinzia
  • Clinica Villa Bianca
  • Villa Betania
  • Clinica Ruesch
  • Clinica Mediterranea
  • Clinica Internazionale

SALERNO

  • Ospedale Battipaglia
  • Ospedale Nocera Inferiore
  • Ospedale Sarno
  • Ospedale Curteri
  • Ospedale Vallo
  • Ospedale Polla
  • Ospedale Sapri
  • Ospedale Eboli

BENEVENTO

  • Ospedale Fatebenefratelli

CASERTA

  • Ospedale Maddaloni
  • Ospedale San Sebastiano
  • Clinica San Michele

AVELLINO

  • Ospedale Moscati
  • Ospedale Solofra*
  • Ospedale Ariano Irpino*

* C.Ra.S.C.O. IN FASE DI ATTIVAZIONE – Si consiglia di contattare la BaSCO

VANTAGGI ALL’USO DI SANGUE DI CORDONE

Rispetto al metodo classico il sangue di cordone comporta numerosi vantaggi:

  • Gran disponibilit? di campionatura, particolarmente in regioni ad elevata natalit?, come ? la Campania
  • Assenza totale di rischio per il donatore sia madre che figlio, essendo la raccolta effettuata a parto espletato su materiale considerato normalmente di scarto
  • Assenza di costi aggiuntivi di degenza od operatori
  • Pronta e certa disponibilit? del campione, laddove idoneo
  • Maggiore clonogenicit? e minore reattivit? immunologica (diminuzione della GVHD)
  • Minore rischio di trasmissione di malattie (citomegalovirus)

I DATI RIASSUNTIVI SUI TMO DA SANGUE DI CORDONE

II fabbisogno di trapianti/anno nella regione Campania ? di circa 230 TMO dei quali il 25% (57 circa) in soggetti pediatrici, cui aggiungere 10-15 casi/anno di TMO in patologie non neoplastiche per un totale di circa 70 trapianti/anno.

A tutt’oggi sono stati effettuati circa 2500 trapianti nel mondo con sangue di cordone, pertanto la tecnica ed i risultati sono ormai noti: il TMO con sangue di cordone porta a risultati sovrapponibili al TMO da midollo, anche se attraverso percorsi che si differenziano in alcuni aspetti; per esempio una pi? lunga degenza in camera sterile (attecchimento ritardato), ma anche un minore grado di reazione da trapianto (GVHD).

L’esperienza di una mamma

II momento della gravidanza ? per la donna certamente uno dei pi? belli e significativi di tutta la vita. Durante nove mesi un’altra vita cresce dentro di noi… le trasformazioni del piccolo feto provocano cambiamenti anche nella mamma, che oltre al pancione che cresce, impara a capire perfino l’umore e lo stato d’animo del bambino che si agita dentro di lei. Attraverso il cordone ombelicale che la unisce al figlio, inoltre, una mamma non gli trasmette solo gli elementi per la crescita, ma anche sentimenti, emozioni, pensieri. Ecco perch? la vita attraversa il cordone in tutti i suoi aspetti. Il sangue del cordone ombelicale ? ricco di cellule staminali che potranno contribuire, una volta raccolte, a salvare altre vite. Molte donne decidono perci? di donare il sangue del cordone al momento del parto. Ecco l’esperienza di una mamma che l’ha desiderato fortemente e ci racconta come ? andata…

Care mamme,
mi chiamo Laura e sono la mamma di tre meravigliosi bambini: Maria di 9 anni, Francesca di 6 e Umberto, che ora ha 5 mesi. Francesca ? stata curata al Pausilipon per una leucemia linfoide acuta. Quando, dopo l’esperienza di Francesca, abbiamo saputo di aspettare un bambino, io e mio marito abbiamo subito pensato alla possibilit? di donare il cordone ombelicale e alle cellule staminali da recuperare e conservare come atto d’amore dovuto non solo a Francesca, ma alla vita. Ho contattato la dott.ssa Canazio, responsabile dell’Adisco, che mi ha indicato come punti di riferimento l’Ospedale Fatebenefratelli e in particolare il dott. lacobelli. Ma l’incontro con questo medico, pur tanto atteso, non si mai ? realizzato e quindi ho seguito regolarmente le indicazioni del mio ginecologo di fiducia, che mi ha indicato un altro dottore dell’equipe del Fatebenefratelli, il quale mi ha aiutato a vivere l’evento con serenit?. Dovendo sottopormi al terzo cesareo, il ricovero in ospedale ? stato pianificato in anticipo, ma nonostante tutto continuavo a chiedermi se fossi riuscita nell’impresa. In sala operatoria mi praticano l’epidurale e dopo circa 10 minuti nasce il mio bambino. Nel frattempo un altro dottore si avvicina con una sacca (tipo quella per le trasfusioni) e mi spiega che tirer? tutto il liquido dal cordone ombelicale fino a riempire quella sacca. Infatti in meno di cinque minuti la sacca ? colma e me la mostra compiaciuto…..era lui il dott. lacobelli, che con un volto rassicurante mi aveva spiegato tutto il procedimento. Cos? in poco pi? di mezz’ora ero di nuovo mamma e contemporaneamente avevo donato le cellule del cordone ombelicale che mi legava a mio figlio: tutto si era svolto senza traumi ne per me ne per il bambino, in modo semplice e sereno. Bisognerebbe facilitare il primo incontro delle future mamme con i medici specializzati per il prelievo del sangue del cordone ombelicale, in modo che tutte quelle che vogliono donarlo possano vivere questa scelta nella maniera pi? serena e ricevendo le giuste informazioni. Potrebbe essere utile inoltre promuovere la formazione di altri medici in altri ospedali, perch? per una donna non ? facile cambiare il proprio medico proprio nel delicato momento in cui sta per diventare mamma. E’ necessario far comprendere che donare il sangue del cordone ombelicale non comporta nessuna difficolt?, ? solo un atto d’amore che pu? salvare i nostri bambini.
Laura, mamma di Francesco

La valutazione dello stato di salute del bambino oncologico

Articolo tratto dal GlobemoNews anno 4 n.10
redatto dalle Dott.sse Rosanna Parasole e Argia Mangione

La Terapia di supporto alla chemioterapia anti neoplastica

Articolo tratto dal GlobemoNews anno 3 n.8
redatto dalla Dott. Vincenzo Poggi

Uno dei presidi fondamentali della cura delle neoplasie, insieme alla chirurgia ed alla radioterapia, ? la chemioterapia (chemio). Essa consiste nel somministrare farmaci ad attivit? antineoplastica a dosi efficaci e secondo precisi schemi, detti protocolli. La chemio ha effetto prevalente sulla neoplasia ma, purtroppo, ha effetto secondario anche sui tessuti sani, su tutti, anche se maggiormente su alcuni quali:

  1. il midollo (causa aplasie con anemia per diminuzione dei Globuli Rossi (GR), con tendenza alle emorragie per diminuzione delle piastrine e con tendenza alle infezioni per diminuzione dei globuli bianche in particolare dei neutrofili);
  2. l’intestino (causa mucositi, nausea, vomito, diarrea, difficolt? ad alimentarsi e, dunque, malnutrizione. Alcuni farmaci, in particolare il cortisone, possono causare un eccessivo aumento dell’appetito);
  3. il cuoio capelluto (causa la perdita momentanea dei capelli);
  4. il sistema coagulativo (pu? causare emorragie o trombosi);
  5. il sistema urinario (pu? causare problemi renali come squilibri elettrolitici, cistite con ematuria, difficolt? alla minzione, ipo-o-ipertensione).

Non sarebbe possibile somministrare una chemioterapia a dosi efficaci se non fosse posta in essere una terapia in grado di contrastare – naturalmente entro certi limiti- gli effetti negativi della chemio; cio? la terapia di supporto.

Nella foto la Dott.ssa De Fusco, con la capo sala del reparto ed una infermiera mentre preparono le terapie di supporto.

Per quanto detto ai punti da 1 a 5 possiamo descrivere la terapia di supporto per ciascuno dei punti presi in esame.

1) Terapia di supporto alle aplasie

Essa comprende tre diversi aspetti:

  1. supporto all’anemia. Si basa su due presidi:
    • le trasfusioni di globuli rossi (GR). Esse sono decise quando l’emoglobina che normalmente ? circa 12 scende sotto 7 ed hanno lo scopo di migliorare l’ossigenazione dei tessuti, incluso cuore e cervello, e quindi le performances generali del bambino;
    • l’uso di sostanze che favoriscono la produzione di GR da parte del midollo, in particolare l’eritropoietina (quella che alcuni sportivi usano per doparsi). L’azione dell’eritropoietina ? lenta, perci? di solito, si preferiscono le trasfusioni.
  2. supporto alla piastrinopenia. Si basa sulla trasfusione di piastrine quando esse, che normalmente sono almeno 200.000, scendono sotto le 20.000 o quando compaiono segni emorragici. Possono essere trasfuse due tipi di piastrine:
    • piastrine “random” cio? piastrine derivanti da una singola donazione di sangue (quando si dona sangue esso viene diviso in 3 frazioni: GR, piastrine e plasma e ciascuna pu? essere trasfusa separatamente all’occorrenza ); di solito, per avere un buon risultato, occorre trasfondere da 3 a 6 random insieme.
    • piastrine “da aferesi”. Il donatore non dona sangue ma dona solo piastrine. Con questo sistema se ne raccolgono di pi?. Di solito una aferesi equivale a 5 random e quindi ? sufficiente una sola sacca. Purtroppo, per vari motivi, non ? facile raccogliere piastrine da aferesi e quindi, spesso, sono disponibili solo le random.
  3. supporto alla neutropenia. Si basa su due principi:
    • uso di sostanze che spingono il midollo a produrre neutrofili. Sono i cosiddetti “fattori di crescita” tipo Granocyte o Granulokine o altri. Essi funzionano lentamente ? sono utilizzati solo quando ci si aspetta un aplasia molto lunga;
    • uso di farmaci utili a combattere le infezioni causate dalla neutropenia. Tali sostanze sono gli antibiotici (ad. es. Rocefin, BBk8, Bactrim, Zimox, ecc. che combattono le infezioni da batteri), gli antimicotici (ad es. Mycostatin, Fungilin, Triasporin, Diflucan, Ambisome, ecc, che combattono le infezioni da funghi – a volte molto pericolose) e gli antivirali (ad es. Zovirax, Cimevene, ecc. che cercano di combattere le infezioni virali. Molto utili possono essere anche le Immunoglobuline).

2) Terapia di supporto ai danni intestinali

  • Antivomito. La chemio induce intensa nausea e vomito. Prima dell’introduzione di una efficace terapia era difficile convincere il bambino a farsi fare la chemio proprio perch? nausea e vomito erano intensissimi. Oggi esistono farmaci (ad es. Zofran) che prevengono e calmano in gran parte questi disturbi.
  • Gastroprotezione. La chemio, in particolare il cortisone, induce forte irritazione gastrica con gastriti ed anche ulcere che possono sanguinare. L’uso di gastroprotettori (ad es. Ranidil, Antra ecc.) proteggono lo stomaco dall’effetto nocivo della chemio permettendo la sua somministrazione senza questi problemi.
  • Gestione delle mucositi. L’uso di antisettici ed antidolorifici locali (soluzioni di vario tipo con cui sciacquarsi la bocca) prevengono ed attenuano le lesioni delle mucose della bocca. A volte tali lesioni si estendono a tutto l’intestino inducendo intensi dolori addominali e retrosternali. Occorre allora intervenire anche con la morfina.
  • Gestione della malnutrizione. Quando per il vomito, la gastrite o le mucositi il bambino non pu? alimentarsi normalmente lo si alimenta per vena (alimentazione parenterale totale) somministrando soluzioni che contengono zuccheri, aminoacidi, grassi, vitamine e minerali.

3) Terapia di supporto ai danni del cuoio capelluto

L’uso di cuffie ghiacciate durante la somministrazione di chemio sembrava poter diminuire la caduta dei capelli. Per un certo periodo abbiamo utilizzato questo sistema con il solo risultato di far soffrire i bambini (provate a tenere in testa una cuffia di ghiaccio per 1 o due ore!). Un sistema validissimo per non dare alla chemio la soddisfazione di far cadere i capelli ? tagliarli a zero prima che cadano del tutto (? sempre disponibile un barbiere!). Se non li si vogliono “perdere”, invece, basta raccoglierli con paletta e scopino man mano che cadono. Infine sempre valide le parrucche o le bandane alla Berlusconi. Da non sottovalutare il fatto che, come G. Menna e lo stesso Poggi possono confermare, senza capelli si vive benissimo!!. Perdonatemi la verve scherzosa…

4) Terapia di supporto ai danni del sistema coagulativo

II sistema coagulativo ? cosa molto complessa, ma si pu? rappresentare come un sistema di tiro alla fune dove al centro c’? la normalit?, da un lato molti fattori che tirano verso l’emorragia e dall’altro lato altrettanti fattori che tirano verso la trombosi (formazione di un coagulo dentro una vena). La chemio, attraverso vari meccanismi, pu? spostare l’equilibrio verso l’uno o l’altro lato. Ad es. la kidrolase, inducendo una diminuzione di uno dei fattori che tirano verso la trombosi – il fibrinogeno – pu? favorire l’emorragia. Attraverso lo screening coagulativo pi? o meno allargato ? possibile monitorare lo sbandamento della fune ed intervenire con farmaci (ad es. Konakion, Kibernin, Plasma congelato fresco, ecc.) per ricreare l’equilibrio e permettere la somministrazione della chemio.

5) Terapia di supporto ai danni del sistema urinario

La chemio ha come effetto principale e desiderato l’eliminazione rapida di un gran numero di cellule neoplastiche. Anche se desiderato, tale distruzione massiva comporta la liberazione nel sangue di grosse quantit? di scorie (ad es. acido urico – il responsabile della gotta!) che devono essere allontanate attraverso il rene. La terapia di supporto consiste in:

  • favorire tale eliminazione mettendo a disposizione del rene una gran quantit? di acqua (ad es. grandi quantit? di Idrolitina od enormi sacche di flebo – anche 4 litri al giorno – con conseguente produzione di gran quantit? di pip?);
  • usare farmaci che tendono a spezzettare le scorie in pezzi pi? piccoli pi? facilmente eliminabili (ad es. Ziloric, Fasturtec, ecc).

Uno dei pi? importanti farmaci chemioterapici, l’Endoxan, determina un danno specifico alla vescica provocando terribili cistiti emorragiche. Tale effetto dannoso viene evitato somministrando contemporaneamente all’Endoxan un antitodo, l’Uromitexan che non agisce nel sangue ma solo nell’urina. Senza il supporto di tale antidoto non sarebbe possibile utilizzare l’Endoxan.
Questi descritti sono solo alcuni degli aspetti della “terapia di supporto” al trattamento chemioterapico delle neoplasie infantili. Per necessit? ho dovuto limitare la lunghezza del testo ma ? possibile che nei prossimi numeri si possano approfondire altri aspetti che in modo pi? ampio rientrano nel concetto di “procedure che permettono la corretta esecuzione della migliore chemioterapia” quali, ad es. il Catetere Venoso Centrale, la nutrizione, il supporto psicologico, il supporto alberghiero ed altri.

Il Trapianto di Midollo Osseo – TMO

Articolo tratto dal GlobemoNews anno 1 n.3
redatto dal Dott. Mimmo Ripaldi

II trapianto di un organo come il cuore, il fegato, consiste nella sostituzione dell’organo ammalato con uno integro ma il trapianto di midollo osseo (TMO) o pi? esattamente di cellule staminali emopoietiche (CSE) ? una cosa diversa e per capirne il significato bisogna sapere cosa sono le cellule staminali, a cosa servono e dove sono.

Il midollo osseo si trova nelle ossa, ? di consistenza semiliquida e al suo interno ci sono le cellule staminali che sono in grado di produrre globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. Le cellule staminali si trovano anche nel sangue periferico ma in numero ridotto.

Quando ? necessario prelevare il midollo osseo, o meglio le cellule staminali periferiche CSE), deve essere raccolto dalle ossa con un intervento che pu? essere fatto in anestesia generale o locale. L’intervento consiste nel pungere le ossa con grossi aghi, prelevare 3-4 ml per volta, fino a raggiungere la quantit? necessaria, che varia a seconda del peso del donatore (10-20ml/kg). Nel donatore il prelievo del midollo non determina una perdita importante in quanto il midollo prelevato viene ricostituito nell’arco di poche settimane.

Come avevamo detto, precedentemente, le cellule staminali si trovano anche nel sangue periferico e se si usano farmaci, come i fattori di crescita, per 4-5 giorni questi sono capaci di “mobilizzare” le CSE, che raggiungono numeri sufficienti da poter essere raccolte mediante separatori cellulari che filtrano il sangue e raccolgono le cellule specie quelle staminali. Questo processo si chiama aferesi.

Le cellule raccolte mediante aferesi o mediante intervento chirurgico devono essere filtrate per eliminare il grasso o piccoli coaguli, e a volte purificate dalle cellule neoplastiche (purging) e se non utilizzate subito vanno conservate in laboratorio ad una temperatura di -196?C in azoto liquido. Le cellule conservate in questo modo possono essere utilizzate anche a distanza di molti anni.

Quando si parla di trapianto di midollo osseo ci deve essere un donatore e un ricevente. Quando il donatore e il ricevente sono la stessa persona si parla di trapianto di midollo osseo Autologo, nel caso invece che il donatore e il ricevente siano persone diverse si parla di trapianto Allogenico. Nel trapianto allogenico il donatore pu? essere un fratello, una sorella o un parente e in alcuni casi anche una persona estranea alla famiglia, ma in tutti i casi questi donatori devono essere compatibili per gli Antigeni HLA che rappresentano la carta di identit? delle nostre cellule.

IL TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO AUTOLOGO

Donatore e ricevente sono la stessa persona.

Esistono alcune leucemie e tumori solidi che si dimostrano molto sensibili alle dosi dei f armaci o alle radiazioni somministrate. I farmaci o le radiazioni al di sopra di certe dosi distruggono il midollo osseo in modo totale portando alla morte il paziente che senza globuli rossi, globuli bianchi e piastrine non si difende ne dalle infezioni e ne dalle emorragie. Per tale motivo prima di sottoporre il paziente a questi dosaggi si prelevano cellule staminali o dal midollo o dal sangue periferico, si conservano in azoto liquido e il paziente viene ricoverato in un reparto idoneo in una camera singola e sottoposto a trattamento radioterapico e/o chemioterapico allo scopo di distruggere tutte le sue cellule malate. Questa fase ? chiamata condizionamento.

Il condizionamento dura da 3 a 9 giorni e al termine sono rinfuse le cellule staminali dopo essere state scongelate a 37?C. L’infusione deve durare pochi minuti per non far morire le cellule. L’infusione deve avvenire tramite un catetere venoso centrale per essere, come gi? detto, pi? rapida possibile e le cellule una volta nel sangue vanno verso la propria sede che ? l’osso. La ripresa dell’emopoiesi non avviene rapidamente, infatti sotto l’effetto dei farmaci, il paziente va incontro ad una aplasia che dura due o tre settimane e rappresenta il periodo di maggior rischio per il paziente in quanto possono subentrare emorragie, anemia, mucositi e febbre. La febbre insorge per una diminuzione delle difese immunologiche dovute al numero di bianchi che sono intorno a 10 mmc. Per combattere questa evenienza si somministrano antibiotici e/o immunoglobuline. Le mucositi dovute ad infiammazione della bocca e delle prime vie dell’apparato digerente sono combattute con una corretta igiene orale e con l’alimentazione parenterale totale.

L’ anemia, conseguente alla mancata produzione dei globuli rossi, ? curata con le trasfusioni.

Le emorragie dovute alla mancanza delle piastrine si manifestano con ecchimosi, ematomi e perdita di sangue dal naso; in questo caso si fanno trasfusioni di piastrine.

Dopo il periodo di aplasia inizia la ricostituzione ematologica documentata dall’aumento dei globuli bianchi, con neutrofili >500 mmc, delle piastrine e dei globuli rossi.

Le malattie curate con questa procedura sono principalmente i tumori e i linfomi (LnoH e LH) ma anche le leucemie mieloidi acute (LMA) eccetto quelle a buona prognosi e le leucemie linfatiche acute (LLA) ricadute a livello testicolare o meningeo e l? dove non ? disponibile un donatore.

IL TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO ALLOGENICO

Donatore e ricevente sono due persone diverse.

Quando il midollo osseo ? malato in maniera irreversibile come nelle malattie genetiche (Talassemie, Immunodeficienze, Istiocitosi ecc.) o come nelle Leucemie (eccetto quelle segnalate precedentemente) o Aplasie acquisite ? necessario sottoporsi a un trapianto allogenico.

Per raggiungere l?obiettivo della guarigione bisogna sottoporre il paziente a un condizionamento aggressivo che pu? generare rischi tossici e infettivi e per questo motivo va ricoverato in ambienti protetti (camere dove l’aria ? filtrata e a pressione positiva), sottoposto a profilassi antifunginea e antivirale oltre ad alimentazione bilanciata.

Abbiamo detto che il donatore deve essere HLA identico cio? deve avere sulle cellule gli stessi antigeni del malato e questo avviene quando si dispone di un familiare compatibile (purtroppo solo nel 25% dei casi), in caso contrario si ricorre a un donatore da banca o a un cordone.

E’ chiaro che le tecniche che disponiamo permettono di studiare la compatibilit? HLA in modo fine ma un donatore o un cordone da banca non sar? mai compatibile come un familiare. Questa necessit? di compatibilit? ? dovuta al fatto che le cellule del sangue (linfociti) controllano la presenza di tutte le cose estranee al nostro organismo e l? dove incontrano cellule diverse avviano un processo che si chiama rigetto cio? l’allontanamento e la morte di quello che ? diverso. Nel trapianto di midollo osseo allogenico pu? avvenire inoltre un processo che ? specifico e non ? presente in nessun altro trapianto, la malattia contro l’ospite (GVH); infatti quando infondiamo le cellule staminali del donatore infondiamo anche i suoi linfociti che riconoscendo estranee le cellule del ricevente aggrediscono diversi organi che possono essere la cute, l’intestino e il fegato. Tale reazione che avviene nei primi 100 giorni si presenta con rossore del palmo della mano o della pianta dei piedi ma pu? estendersi a tutto il corpo. Pu? interessare l’intestino con diarrea profusa e il fegato con una epatite itterica. Tale complicanza ? molto temuta per cui i pazienti sono sottoposti a terapie dette immuno-soppressive le quali riducendo le capacit? di difesa espongono il paziente al rischio di infezioni. Per tale motivo, il paziente alla sua dimissione deve svolgere una vita molto riservata e seguito per molti mesi dal Centro che ha effettuato il trapianto.

Negli ultimi anni con il progresso farmacologico e con le migliori tecniche di tipizzazione HLA sono stati utilizzati donatori compatibili per 5 antigeni su sei con gli stessi risultati di quelli compatibili completamente e in casi selezionati, non avendo alcun donatore disponibile ne fra i familiari ne nelle banche di cordoni e di midollo, anche donatori familiari compatibili al 50% (Trapianto di midollo osseo Aploidentico). In questi casi per poter effettuare il trapianto bisogna disporre di grandi quantit? di CSE e poter eliminare del tutto i linfociti del donatore. Si ottiene un trapianto in cui il rischio di GVH ? quasi assente, tanto da non essere necessari i tarmaci immuno-soppressori ma la ripresa immunologia del donatore, cio? la capacit? di difesa dalle infezioni, ? estremamente lenta anche qualche anno per cui le attenzioni devono essere massime non solo durante il ricovero ma specialmente quando l’ammalato ritorna a casa. ? chiaro che i successi, in questi casi, sono ridotti ma considerando le malattie genetiche e le leucemie pluriricadute in cui la possibilit? di guarire e quasi vicina allo 0% queste nuove strade possono essere guardate con fiducia. Spero che questo piccolo articolo abbia potuto soddisfare le tante domande che il lettori del giornalino si sono posti sul trapianto di midollo osseo, comunque tutto il personale del dipartimento e i medici sono sempre disponibili per chiarire i vostri dubbi.

Piastrinopenia

Articolo tratto dal GlobemoNews anno 2 n.6
redatto dal Dott. G. Loffredo

Che cos’??

Le piastrine, piccole cellule del sangue prodotte nel midollo osseo assieme ai globuli rossi e ai globuli bianchi, giocano un ruolo fondamentale nel processo dell’emostasi {arresto di una emorragia}: pochi secondi dopo un insulto vascolare ha luogo la formazione di un aggregato piastrinico o tappo emostatico primario che ha la funzione di impedire la fuoriuscita di sangue dai vasi sanguigni; questo tappo viene successivamente stabilizzato e rinforzato con l’intervento di altri fattori della coagulazione.

Con il termine di piastrinopenia (o trombocitopenia) viene definita la condizione caratterizzata da riduzione del numero di piastrine al di sotto di 150.000/mmc. Essa rappresenta la causa pi? comune di diatesi emorragica. In genere, con un numero di piastrine superiore a 50.000/mmc non si ha sanguinamento spontaneo, ma si possono avere emorragie in seguito a traumi o interventi chirurgici; un sanguinamento spontaneo senza traumi apparenti pu? comparire quando il numero di piastrine diminuisce a 20.000 -30.000/mmc; emorragie importanti di solito non si verificano fino a quando la conta piastrinica scende sotto a 10.000/mmc.

Quali sono le cause?

Una piastrinopenia che compare nel bambino o nell’adulto pu? essere dovuta a:

  1. aumentata distruzione di piastrine nel circolo periferico con meccanismo di tipo immunologico (Porpora trombocitopenica immune, trombocitopenia indotta da farmaci, post-trasfusionale, alloimmune e autoimmune neonatale, in corso di collagenopatie)
  2. aumentata distruzione di tipo non immunologico (CID, s.uremico – emolitica, porpora trombotica trombocitopenica, emangioma gigante, cardiopatie congenite, protesi valvolari)
  3. ridotta produzione di piastrine nel midollo osseo da:
    • disordini congeniti, cio? presenti al momento della nascita, che in alcuni casi, sono anche eredita-ri, cio? possono essere trasmessi dai genitori ai figli (anemia di Panconi, sindrome TAR, sindrome di Wiskott-Aldrich., etc.)
    • disordini acquisiti (anemia aplastica, malattie infiltranti il midollo, farmaci, radiazioni).

Le forme ereditarie sono molto rare. Tra le forme di trombocitopenia la pi? frequente in et? pediatrica ? la porpora trombocitopenica immune (PTI) dovuta ad eccessiva distruzione periferica di piastrine con meccanismo immunologico dovuto alla formazione di anticorpi contro le piastrine; gli anticorpi si legano alle piastrine che vengono rapidamente distrutte dai macrofagi della milza.

Come si manifesta

Molto spesso la piastrinopenia ? asintomatica ed ? scoperta casualmente dopo aver eseguito un emocromo per altri motivi.; in questi casi ? importante escludere la presenza di una pseudopiastrinopenia (falsa riduzione del n? di piastrine dovuta all’agglutinazione delle stesse in presenza dell’anticoagulente EDTA) mediante un esame dello striscio periferico.

Le manifestazioni emorragiche nella trombocitopenia sono quasi sempre di lieve entit? ed il rischio di emorragie gravi ? sempre associato a traumi importanti o assunzione di farmaci antinfiammatori.

Le manifestazioni emorragiche tipiche delle piastrinopenie sono costituite da petecchie (piccole emorragie capillari del diametro di circa 1 mm, di colorito rosso violaceo), ecchimosi (versamenti emorragici superficiali) spontanee o traumatiche, sanguinamenti dalle mucose (epistassi, emorragie gastrointestinali, menor-ragia molto rara), sanguinamento precoce dopo traumi o interventi chirurgici.

Il rischio di sanguinamento oltre che dal numero di piastrine dipende dal meccanismo patogenetico della piastrinopenia: infatti i pazienti con piastrine “vecchie” in circolo come nelle leucemie e nella insufficienza midollare (deficit di produzione) o in forme caratterizzate da difetti funzionali piastrinici (ereditali o acquisiti), possono presentare manifestazioni emorragiche anche con un numero di piastrine pi? elevato, mentre pazienti con piastrine “giovani”, come nelle forme da aumentata distruzione periferica e aumentato turnover midollare (es.PTI), difficilmente sanguinano anche con un numero di piastrine relativamente ridotto. Anche fattori esterni possono condizionare la comparsa di manifestazioni emorragiche; per esempio l’assunzione di aspirina o antinfiammatori, alterando la funzione piastrinica, pu? scatenare un’emorragia.

La PTI, spesso preceduta da un episodio infettivo 2-3 settimane prima, dal punto di vista clinico comporta la comparsa in apparente pieno benessere di manifestazioni emorragiche, pi? spesso minori (ecchimosi, petecchie, epistassi) raramente maggiori (emorragie del cavo orale, gastrointestinali, cerebrali, etc.), in bambini che non presentano altri segni o sintomi di patologia. La maggioranza dei bambini (80%) recupera un numero di piastrine normale, in media entro i sei mesi, sia che venga attivato o meno un trattamento terapeutico (PTI acuta). Non ? possibile al momento dell’esordio prevedere quale sar? il decorso della malattia; se dopo sei mesi persiste la piastrinopenia la PTI si definisce cronica. La diagnosi di PTI ? suggerita dall’esclusione di forme secondarie ed ereditarie di piastrinopenia e dall’assenza di splenomegalia in un soggetto con midollo normale. La ricerca degli anticorpi antipiastrine oggi non ? ritenuta pi? indispensabile per la diagnosi.

Quando si cura

Poich? la maggioranza delle piastrinopenie non provoca sintomi gravi e si pu? verificare la normalizzazione spontanea del loro numero, spesso ? consigliabile non effettuare nessuna terapia.

Generalmente la terapia ? indicata in presenza di uno o pi? dei seguenti criteri:

  • piastrinopenia sintomatica indipendentemente dal numero di piastrine
  • piastrinopenia paucisintomatica se le piastrine sono inferiori a 20-30.000/mmc.

Per la terapia delle varie forme di piastrinopenia si rimanda ai manuali specifici.

Consigli pratici per i pazienti con piastrinopenia

  • evitare traumi
  • non assumere farmaci per via intramuscolare per il rischio di ematomi
  • consultare sempre il medico prima di assumere tarmaci che inibiscono la funzione delle piastrine (aspirina o altri farmaci antinfiammatori)
  • igiene orale per prevenire la gengivorragia
  • contraccettivi per prevenire la menorragia
  • adeguata preparazione in previsione di procedure invasive o interventi chirurgici.

Linfoma non Hodgkin

Articolo tratto dal GlobemoNews anno 4 n.9
redatto dalla Dott.ssa Marie France Pinta Boccalatte

IL LINFOMA NON HODGKIN IN ETA’ PEDIATRICA

Aferesi

Articolo tratto dal GlobemoNews anno 1 n.3
redatto dal Dott. G. Iannoni

CHE COS’? L’AFERESI ?

Con il termine aferesi si indica comunemente un procedimento mediante il quale si preleva, si “estrae” dal sangue di un donatore un solo suo componente, per esempio le piastrine, mentre tutti gli altri componenti (plasma, globuli rossi, globuli bianchi) vengono “restituiti” al donatore. L’aferesi viene praticata grazie all’uso di una macchina computerizzata detta separatore cellulare. A seconda delle finalit? questa moderna tecnica trasfusionale ? distinta in due tipi:

  1. aferesi produttiva, cio? si producono piastrine, plasma, globuli rossi o globuli bianchi “estraendoli” singolarmente dal sangue di un donatore per destinarli a pazienti che ne hanno particolare necessit? (in questo articolo parleremo di questa);
  2. aferesi terapeutica quando il componente (tra questi anche le cellule madri del sangue, le cosiddette “staminali” destinate ad uso trapiantologico) ? prelevato allo stesso paziente per scopi terapeutici. In questo secondo caso il prodotto pu? essere tanto reinfuso al paziente in un certo momento terapeutico o sostituito con un’equivalente sano proprio perch? causa di alcune patologie sopravvenute in corso di terapia onco-ematologica.

I tempi di ogni procedura sono variabili. Possiamo raggnipparli in un intervallo che va da un minimo di un’ora e mezza, per le produttive, a un massimo di 4-5 ore per le terapeutiche. I kit usati sono assolutamente sterili e monouso. Nel nostro Ospedale la postazione di lavoro ? molto comoda e confortevole (si pu? leggere, ascoltare musica o guardare la Tv o un film o anche solo rilassarsi e colloquiare con il personale operante).

A COSA SERVE L’AFERESI ? QUALI SONO I SUOI VANTAGGI ?

Consideriamo il problema delle piastrine, molto importante per i piccoli pazienti del nostro Ospedale. Le piastrine sono piccole cellule di fondamentale importanza nel complesso processo della coagulazione del sangue (emostasi). In pratica agiscono per arrestare subito un’emorragia e riparare successivamente la lesione dei vasi sanguigni che l’ha prodotta.
Il loro numero nel sangue ? normalmente compreso fra 150.000 e 400.000 per mmc.
Quando questo scende al di sotto del livello minimo in grado di garantire una adeguata emostasi (15-20.000 piastrine) bisogna intervenire con la trasfusione di piastrine. Per ottenere un risultato soddisfacente ? necessario trasfondere un certo numero di comuni concentrati piastrinici (quelli che si ricavano dalle sacche di sangue di ogni singolo donatore) ordinariamente indicati come “random”. Questo fatto determina tr? inconvenienti:

  1. sono necessari molti donatori per ottenere un minimo risultato;
  2. il paziente entrando in contatto con gli antigeni di pi? donatori contemporaneamente ha maggiori probabilit? di immunizzarsi (cio? sviluppa anticorpi anti-piastrine) e di diventare refrattario (cio? le rifiuta) ad ulteriori trasfusioni;
  3. aumentando il numero di donatori aumenta il rischio di esposizione ad agenti infettivi.

Quest’ultimo punto oggi ? molto discutibile perch? dal giugno 2002 su ogni sacca di sangue viene per legge eseguito un esame detto NAT HCV-HIV. Si tratta di un test che “cerca” direttamente l’eventuale virus dell’epatite C (HCV) oppure quello dell’Aids (HIV), evitando di rendere disponibile quella sacca, ovviamente subito eliminata. Prima di tale data si cercavano solo gli anticorpi prodotti dal donatore eventualmente infetto e potevano sfuggire quei pochi casi che essendo nella fase iniziale di un contagio HCV o HIV non avevano ancora prodotto questi anticorpi (periodo cosiddetto “finestra”). Ci? rende oggi la sicurezza trasfusionale molto alta.
Se invece si raccoglie un concentrato piastrinico da un singolo donatore mediante aferesi si avr? a disposizione una quantit? di piastrine equivalente a quello che fornirebbero assieme 6-8 donazioni random.
C’? un ulteriore vantaggio nella piastrinaferesi: fra due donazioni di piastrine sono sufficienti 15 giorni mentre fra due donazioni di sangue intero devono passare almeno 90 giorni.

CHI PU? FARE LA DONAZIONE MEDIANTE L’AFERESI ?

Per la donazione mediante tecnica aferetica sono richiesti gli stessi requisiti necessari per l’idoneit? alla donazione di sangue intero cio? soggetti in buona salute, tra i 18 e 60 anni (65 per i donatori abituali) con peso di almeno 50 Kg, esenti da qualsiasi rischio infettivo anche solo potenziale. Alla prima donazione viene eseguito anche l’elettrocardiogramma e in alcuni casi la radiografia del torace, oltre agli esami di laboratorio previsti per legge con l’aggiunta dei comuni test di studio della coagulazione del sangue.
Ecco ad esempio alcuni criteri di esclusione dalla donazione:
soggetti affetti da sindromi emorragiche, ipertensione, diabete, patologie emorragiche del tratto gastrointestinale o che abbiano assunto nei 5 giorni precedenti la donazione tarmaci ad azione antiaggregante piastrinica, come ad es. l’Aspirina o l’Aulin.

Per altri tipi di aferesi e per ogni ulteriore chiarimento il personale medico del nostro Servizio Trasfusionale ? interpellabile ogni giorno feriale dalle 12.00 alle 18.00 (tel. 0812205469).

Anemie

Articolo tratto dal GlobemoNews anno 2 n.5
redatto dal Dott. Aldo Misuraca

NOTIZIE SULL’ANEMIA

L?anemia ? caratterizzata da una diminuzione dei globuli rossi e, quindi, dell’emoglobina, con conseguente carenza di ossigeno nelle cellule.

La deficienza di ferro ? la causa pi? comune di anemia nel bambino e pu? essere dovuta a scarsa introduzione (alimentazione inadeguata), a ridotto assorbimento intestinale (come per es. nella celiachia, una malattia dovuta a intolleranza al glutine-frumento) o a perdite (emorragie).

Ma esistono anche delle anemie ereditarie, cio? che si trasmettono dai genitori ai figli, dovute a un difetto della forma dei globuli rossi. I globuli rossi sono, in questi casi, di forma pi? piccola o microciti, di forma normale o normociti e di forma pi? grande o macrociti; possono avere, inoltre, una forma a falce o a sfera.

Questo difetto di forma fa in modo che, quando passano nella milza, molti dei globuli rossi vengano distrutti (questo processo che caratterizza le anemie emolitiche si definisce emolisi e si accompagna ad aumento della bilirubina, che deriva dalla distruzione dei globuli rossi e che provoca una colorazione giallognola della pelle definita, a sua volta, ittero). Una particolare forma di anemia emolitica microcitica ? la beta-talassemia, una forma ereditaria di anemia dovuta ad una alterazione dell’Hb, definita cos? perch? tipica delle popolazioni che vivono sul mediterraneo (talassemia ? una parola di origine greca che significa mare). I globuli rossi sono pi? poveri di emoglobina, quindi, di forma pi? piccola ed hanno ridotte capacit? di trasportare ossigeno e sostanze nutritive per l’organismo. Nelle forme pi? lievi (quando il difetto ereditario dell’emoglobina ? allo stato eterozigote, cio? ? presente solo su un cromosoma e non sull’altro della coppia di cromosomi omologhi) si ha solo pallore al volto e facilit? alla stanchezza e questa condizione viene volgarmente definita di “portatore sano”; nelle forme gravi (quando il difetto ? omozigote, cio? presente su entrambi i cromosomi omologhi perch? trasmesso sia dal padre che dalla madre) compaiono un colorito giallognolo della pelle (ittero) e complicazioni a carico del cuore, delle ossa e della milza, per cui si rendono necessario periodiche trasfusioni di globuli rossi concentrati. Per curare definitivamente questa forma pi? grave, che si definisce come morbo di Cooley, si ricorre al trapianto di midollo osseo, una tecnica che consiste nel sostituire il midollo osseo malato con un midollo osseo sano di un donatore, in grado di generare cellule normali.

L’anemia falciforme o drepanocitosi ? dovuta ad un difetto ereditario dell’Hb che fa assumere al globulo rosso una forma a falce. E’ molto comune in Africa e si ritiene che questa anomala forma del globulo rosso costituisca una protezione per la malaria (il parassita trova difficolt? ad attaccare il globulo rosso); tuttavia, quando il difetto ? allo stato omozigote (cio? presente in maniera completa) i globuli rossi vengono distrutti dalla milza e si ha una condizione pi? grave, caratterizzata da anemia e da trombosi (i globuli rossi anomali si uniscono, rendono pi? viscoso il sangue e occludono i vasi). Anche in questo caso il trapianto di midollo osseo ? stato impiegato con successo.

La sferocitosi ereditaria ? dovuta, invece, ad alterazione ereditaria della membrana eritrocitaria, che assume, appunto, una forma sferica e che causa la distruzione dei globuli rossi nella milza. Di conseguenza si ha anemia, ittero, calcolosi biliare (per la precipitazione della bilirubina) e milza notevolmente aumentata di volume. La diagnosi si basa sull’identificazione degli sferociti nello striscio periferico e sulla valutazione delle resistenze osmotiche dei globuli rossi (diminuite perch? i globuli rossi, in seguito alla perdita di parti della membrana eritrocitaria, sono pi? piccoli del normale e di forma sferica e quindi pi? fragili allo shock osmotico, cio? emolizzano rapidamente in presenza di particolari modifiche del campione di sangue) e sul “Pink-test” che costituisce una modifica pi? attendibile del test precedente.

L’asportazione della milza, da attuarsi nel bambino pi? grande che ha gi? valide difese immunitarie, “guarisce” la malattia perch? risolve il problema dell’emolisi e quindi dell’anemia e delle trasfusioni. Quasi sempre si rende necessaria anche l’asportazione della cistifellea per la calcolosi concomitante.

Il favismo ? un altro tipo di anemia emolitica molto diffusa nella popolazione Italiana, soprattutto in Sardegna. E’ causata da una deficienza ereditaria (legata al cromosoma X, per cui solo i maschi ne sono affetti perch? hanno un solo cromosoma X) di un enzima (catalizzatore di reazioni chimiche): Glucosio-6-fosfato-deidrogenasi (G-6-PD). Tale enzima causa una riduzione della deformabilit? dei globuli rossi nell’attraversare i vasi sanguigni (capillari) della milza, con conseguente emolisi, anemia ed ittero. L’anemia si presenta generalmente dopo assunzione di fave o farmaco ossidanti (che rendono evidenti la mancanza dell’enzima) con dolore addominale, diarrea, vomito, febbre, ittero e urine color marsala. La trasfusione di globuli rossi si rende necessaria ed urgente, mentre sar? sufficiente evitare l’ingestione di fave e tarmaci ossidanti (tipo l’aspirina) per non avere ulteriori crisi faviche.

Tutte queste anomalie di numero e forma dei globuli rossi sono messe in evidenza da un semplice esame del sangue, l’emocromo (la grandezza del globulo rosso viene definito MCV=volume corpuscolare medio), che viene letto da una macchina elettronica e dallo striscio periferico che permette, strisciando una goccia di sangue su di un vetrino, una valutazione della quantit? e della forma direttamente al microscopio ottico.

L’anemia viene valutata non solo considerando il numero dei globuli rossi (ridotto), ma anche la concentrazione dell’emoglobina (Hb), un pigmento contenuto nei globuli rossi e che lega l’ossigeno. Se diminuiscono i globuli rossi, quindi diminuisce anche l?Hb e il trasporto di ossigeno alle cellule. Di conseguenza una condizione di anemia comporta, oltre a pallore, affaticamento muscolare, tachicardia (aumento dei battiti cardiaci), fino a gravi scompensi del cuore e del sistema nervoso.

Per definire la diagnosi si valuta anche il conteggio dei reticolociti (che rappresentano i globuli rossi giovani), che permette di distinguere le forme di anemia dovute a mancata produzione midollare (reticolociti ridotti) dalle forme con eccessiva distruzione di globuli rossi (reticolociti aumentati); il test di Coombs che rivela la presenza di anticorpi che distruggono i globuli rossi, positivo nelle anemie immuni; la bilirubina che ? aumentata nelle anemie emolitiche, cio? caratterizzate dalla distruzione nel sangue dei globuli rossi; l’esame del midollo e la biopsia ossea necessario nelle anemie da ridotta produzione midollare e l’estensione delle indagini ai familiari nelle anemie ereditarie.

TERAPIA

Nelle forme da carenza di ferro il pi? delle volte basta somministrare il ferro e risolvere il problema che ne ha determinato la carenza per curare l’anemia. Nelle perdite acute di sangue (in seguito a grave emorragia) o distruzione si rende necessaria la trasfusione. Oggi la trasfusione di sangue intero non trova indicazione, salvo rare eccezioni (ad esempio nel neonato per l’exanguino-trasfusione). Si preferisce infondere globuli rossi concentrati, generalmente quando il tasso di Hb scende al di sotto di 8 grammi (ma nelle perdite croniche, cio? che avvengono lentamente, si pu? attendere fino a valori molto pi? bassi). La splenectomia (asportazione della milza) e il trapianto di midollo osseo possono guarire le forme ereditarie pi? gravi (omozigote).

Notizie utili per la comprensione del testo

A COSA SERVE IL SANGUE?

Il sangue serve a trasportare velocemente da una parte all’altra del corpo le varie sostanze. Le sue funzioni sono:

  • Trasportare l’ossigeno dai polmoni a tutte le cellule dell’organismo, grazie ai globuli rossi.
  • Trasportare l’anidride carbonica (dannosa all’organismo) dalle cellule ai polmoni che, poi, la espellano.
  • Trasportare i prodotti di rifiuto (dannosi) dalle cellule ai reni, per farli espellere attraverso l’urina.
  • Trasportare le sostanze nutritive (glucosio) dallo stomaco e intestino alle cellule.
  • Trasportare acqua e sali minerali dovunque siano necessari.
  • Trasportare gli ormoni, messaggeri chimici del corpo.
  • Difendere il corpo dagli attacchi dei microbi, portatori di infezioni, grazie alla vigilanza serrata dei globuli bianchi.
  • Tamponare, mediante le piastrine, qualsiasi ferita o escoriazione del nostro corpo.
  • Mantenere costante la temperatura del corpo, comportandosi come un sistema di riscaldamento centralizzato.

COM’? COMPOSTO IL SANGUE?

Il sangue ? formato da un liquido detto plasma (in cui sono sciolti sali minerali, glucosio, proteine, anidride carbonica e ossigeno) dove galleggiano tante cellule di tipo diverso:

  • I globuli rossi che trasportano in tutto il corpo gas importanti (contengono l’emoglobina che si lega all’ossigeno). Solo i precursori dei globuli rossi hanno il nucleo; ben presto lo perdono per poter passare anche attraverso i vasi sanguigni pi? stretti e formano prima i reticolociti (i globuli rossi giovani) e poi gli eritrociti o globuli rossi maturi.
  • I globuli bianchi, che attaccano gli “invasori” come batteri e virus e li eliminano. Sono vari tipi di cellule (linfociti, neutrofili, eosinofili, monoliti), ma con una stessa missione: preservare l?organismo dai rischi di infezione.
  • Le piastrine, pezzetti piccolissimi di grandi cellule, necessarie nella fase di coagulazione del sangue. Non hanno nucleo perch?, in effetti, non sono cellule complete, ma si attaccano tra di loro per formare un tappo, quando si forma un buco (taglio) in un vaso sanguigno; le ferite si chiudono grazie alle piastrine.

Se si osserva una goccia di sangue al microscopio, si vedono tanti e tanti corpuscoli che nuotano nel plasma: globuli rossi, piastrine e vari tipi di globuli bianchi, tutti diversi da loro!

CHE COS’? L’EMOGLOBINA?

L’emoglobina (Hb) ? un pigmento di colore rosso, molto ricco di ferro, che si trova nei globuli rossi. E’ formata da una miscela di proteine (4 catene globiniche) ereditate dai due genitori attraverso i cromosomi (l’uomo possiede 46 cromosomi, depositari delle informazioni genetiche, disposti in 23 coppie di cromosomi omologhi o corrispondenti) e che si modificano durante la crescita: nella vita intrauterina l’emoglobina preponderante ? l’HbF (fetale); dal secondo anno di vita in poi l’emoglobina ? costituita da 2 catene alfa unite a 2 catene beta.

L’emoglobina possiede una propriet? importantissima: quella di fissare l’ossigeno, trasportandolo dai polmoni ai tessuti. L’anemia ? caratterizzata da una diminuzione dei globuli rossi e, quindi, dell’emoglobina, con conseguente carenza di ossigeno nelle cellule; la trasfusione di concentrati di globuli rossi ristabilisce il tasso di emoglobina e l’apporto di ossigeno ai tessuti.

IL MIDOLLO OSSEO, FABBRICA DELLE CELLULE DEL SANGUE

II midollo osseo ? l’organo produttore delle cellule del sangue situato all’interno delle ossa del corpo. Possiamo immaginare l’interno del midollo osseo come una fabbrica costituita da una serie di travi che si intrecciano fra loro fino a formare un’impalcatura che sostiene le cellule madri che hanno il compito di produrre i vari tipi di globuli sanguigni e le piastrine. E’ un’industria midollare in grado di produrre miliardi di cellule per tutta la vita. A seconda delle necessit? dell’organismo, ogni cellula madre decider? se trasformarsi in globulo rosso, in globulo bianco o in piastrina, che poi abbandoneranno la fabbrica del midollo per andare nel sangue.

I GRUPPI SANGUIGNI

Sulla superficie dei globuli rossi sono presenti molti antigeni (sostanze chimiche su cui si attaccano determinati anticorpi); tra i pi? conosciuti sono gli antigeni del sistema ABO e del sistema Rh (isolati per la prima volta nella scimmia Macacus Rhesus), molto importanti dal punto di vista trasfusionale.

Ogni individuo ha un gruppo sanguigno (ereditato dai genitori) che rientra nei sistemi ABO ed Rh, cio? pu? avere uno solo dei seguenti gruppi:

O – A -B – AB; inoltre ognuno di questi gruppi pu? essere Rh positivo o Rh negativo.

Tutto questo riveste una notevole importanza dal punto di vista trasfusionale; infatti un individuo di gruppo A pu? ricevere sangue e globuli rossi solo da donatore di gruppo A, di gruppo B da donatore B, mentre l’individuo di gruppo O potrebbe donarlo a tutti (il gruppo O Rh negativo ? stato definito, in passato, donatore universale) ma riceverlo solo da donatore O e l’individuo di gruppo AB potrebbe riceverlo da tutti (ricevente universale) ma donarlo solo a individui di gruppo AB.

Ma prima di una trasfusione, per evitare gravissime reazioni trasfusionali, ? necessario determinare anche il fattore Rh: un individuo Rh positivo pu? ricevere sangue e globuli rossi di un donatore Rh positivo e negativo (ovviamente compatibili anche per il sistema ABO), mentre un individuo Rh negativo pu? ricevere sangue solo da individui Rh negativi.

La trasfusione di concentrati piastrinici si pu? effettuare anche senza tener conto del gruppo sanguigno.

CURIODITA’ SUL SANGUE

Nel sangue ci sono miliardi di globuli rossi. I globuli rossi vivono per un periodo di solo quattro mesi, cos? per mantenere la scorta, dobbiamo produrne 2.000.000 di nuovi ogni secondo!

Il sangue viaggia attraverso dei tubicini: i vasi sanguigni. Ci sono 96.550 km di vasi sanguigni in un corpo umano! Una distanza uguale a circa 2 volte e mezzo il giro intorno al mondo.

Le ossa contengono al loro interno il midollo osseo, un tessuto le cui cellule sono preposte alla fabbricazione dei globuli del sangue. E una fabbrica che lavora a ritmi produttivi vertiginosi.

Donazione del sangue

Io dono
Tu doni
Egli dona
Noi doniamo
Voi donate
Essi Vivono

LA DONAZIONE DEL SANGUE

Nonostante i progressi delle scienze biologiche e della biochimica l’uomo rimane a tutt’oggi l’unica possibile sorgente di sangue. Questo fluido vitale, che rappresenta circa 1’8% del peso corporeo, composto di plasma, piastrine (vedi aferesi per la donazione), globuli bianchi e rossi ? irriproducibile. Il sangue compie un grande viaggio di andata e ritorno nel quale raggiunge tutti i punti del corpo e porta ossigeno alle cellule, le rifornisce di proteine, le difende dalle infezioni, e riporta indietro l’anidride carbonica e le scorie per l’espulsione. In casi come incidenti stradali, interventi chirurgici, malattie del sangue, ecc., c’? bisogno di sangue.

Il S.I.T. del Pausilipon provvede alla fornitura del sangue e delle piatrine necessarie ogni giorno nel Reparto di Onco – Ematologia, purtroppo a causa della carenza di donatori spesso i bambini restano lunghe ore in ospedale in attesa di una fornitura da altri centri.

Per averne disponibilit? ai fini terapeutici, ? necessario che, chi ? in buone condizioni di salute, spontaneamente ne dia un po’ del suo. tale atto ? un dovere civico, e come tale deve essere gratuito; nello stesso tempo ? una scelta intimamente personale e perci? deve essere volontario. Ogni anno sono circa 1.250.000 gli italiani che assicurano al Paese la disponibilit? di sangue. Ma la carenza donatori ? ancora forte, specialmente in Campania.

Chi pu? donare il sangue:

Chiunque, purch? sia sano, d’et? compresa fra i 18 ed i 65 anni, di peso corporeo non inferiore ai 50 Kg. Al momento della donazione devono essere nella norma, cio? nei limiti previsti dalla legge:

  • la temperatura corporea;
  • la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca;
  • i valori dell’emoglobina.

Il S.I.T. del Pausilipon accoglie i donatori tutti i giorni, escluso la domenica, dalle ore 8.00 alle ore 10.30.

Numeri telefonici utili:
S.I.T. “Servizio di Immunoematologia e di Medicina Trasfusionale” del Pausilipon,
Responsabile U.O. Dott. Corrado Perricone,
Info Donatori : Tel. 081 – 2205469

Chi non pu? donare il sangue:

Sospensione permanente – Condizioni patologiche o comportamentali che impediscono definitivamente la donazione a:

  • chi ? positivo per il test AIDS (anti-HIV 1/2);
  • chi ha contratto, anche in passato, un’epatite virale di tipo B o C;
  • chi ha contratto malattie veneree e risulta positivo per il test della sifilide (TPHA oVDRL);
  • chi soffre di patologie cardiovascolari importanti, ulcera gastrica o duodenale, anemia;
  • chi fa uso abitudinario di sostanze stupefacenti;
  • chi fa uso eccessivo di bevande alcoliche (alcolisti cronici);
  • chi ha rapporti sessuali o di convivenza con soggetti affetti da epatite virale, tossicodipendenti o con comportamenti a rischio per l’AIDS o le altre malattie trasmissibili con il sangue.

Sospensione temporanea – Condizioni patologiche o comportamentali che impediscono solo temporaneamente la donazione:

  • la gravidanza in atto ed il puerperio per un anno dopo il parto (o dopo un’interruzione di gravidanza);
  • gli interventi chirurgici in anestesia generale, negli ultimi sei mesi;
  • le trasfusioni di sangue ricevute negli ultimi cinque anni;
  • il soggiorno in zone endemiche per la malaria, nei sei mesi precedenti alla donazione, oppure l’attuazione di una profilassi antimalarica nei tre anni precedenti;
  • i rapporti sessuali con persone sconosciute negli ultimi sei mesi;
  • la sindrome influenzale, faringiti (mal di gola), gastroenteriti, alcuni tipi di terapia (es. antibiotici).

Esami di controllo che vengono effettuati ad ogni donazione:

Oltre all’accurata visita medica ogni volontario prima della donazione viene sottoposto ad un emocromo completo, ad esami di chimica-clinica (Azotemia, Glicemia, Colesterolo, Trigliceridi, ALT, AST, Proteine Totali, Creatinina, Sideremia, ecc.) per stabilire l’idoneit? alla donazione stessa.

Sull’unit? prelevata vengono inoltre effettuati gli esami previsti dalla legge trasfusionale:

Determinazione di gruppo ABO, Rh e Kell, Ricerca di Isoanticorpi immuni, test per l’HIV-Ab (Virus dell’Immunodeficienza), l’HBsAg (Epatite B), l’HCV-Ab (Epatite C), VDRL (test per la Lue o Sif?lide), ricerca dell’RNA virale per HCV e HIV mediante metodica NAT.

E se il donatore ? un lavoratore dipendente?

Il lavoratore dipendente che si reca a donare il sangue ha diritto per legge ad una giornata di riposo ed alla corresponsione della normale retribuzione. Infatti, la legge 4 maggio 1990 n.107 all’art. 13 dispone:

I donatori di sangue e di emocomponenti con rapporto di lavoro dipendente hanno diritto ad astenersi dal lavoro per l’intera giornata in cui effettuano la donazione, conservando la normale retribuzione per l’intera giornata lavorativa. I relativi contributi previdenziali sono accreditati ai sensi dell’articolo 8 della legge 23 aprile 1981,n. 155

Istiocitosi dell’infanzia

Articolo tratto dal GlobemoNews anno 1 n.3
redatto dalla Dott.ssa Carmen De Fusco

Le istiocitosi dell’infanzia costituiscono un gruppo di disordini proliferativi caratterizzati da infiltrazione e proliferazione di cellule del sistema reticolo-istiocitario. Si suddividono generalmente in tre classi. La classe I raggruppa le istiocitosi di derivazione dalle cellule dendritiche, la classe II le istiocitosi di derivazione dalle cellule macrofagiche e la classe III le istiocitosi maligne.

LE ISTIOCITOSI A CELLULE DI LANGERHANS

Tra le istiocitosi di derivazione dendritica il capitolo pi? rilevante ? quello delle Istiocitosi a cellule di Langerhans con una incidenza di un caso su 25000 bambini/anno.
Sono, oggi, raggruppate in una singola entit? nosologica rispetto al passato in cui esistevano varie denominazioni (Istiocitosi X, Granuloma eosinof?lo, Malattia di Hand-SchuIler-Christian, Malattia di Letterer-siwe).
Presentano una ampia variabilit? clinica, in genere lo scheletro ? interessato nell’80% dei casi seguito da cute, fegato e milza, sistema endocrino, sistema nervoso centrale, midollo osseo e tratto gastrointestinale.
Clinicamente si possono inquadrare in almeno due forme, una forma localizzata, con esordio lento generalmente al di sopra dei 3 anni ed interessamento prevalente dello scheletro, cute e linfonodi, con una prognosi, in genere, buona, e una forma sistemica, esordio acuto o subdolo, et? < 3 anni e prognosi nettamente peggiore. La diagnosi ? basata su criteri clinici, ematologici ed istologici.
Un paziente con interessamento sistemico pu? presentarsi con febbre, dolore, irritabilit?, scarso accrescimento, diarrea, intensa sete ed abbondante diuresi, otite ricorrente, segni neurologici, ittero, pallore, eritema cutaneo, ingrandimento del fegato e della milza, edemi, ingrandimento dei linfonodi, difficolt? respiratoria. Lo scheletro pu? essere interessato da tipiche lesioni osteolitiche, sormontate da granuloma eosinof?lo.
I dati di laboratorio rilevano un interessamento midollare con anemia, piastrinopenia, leucopenia, aumento degli indici infiammatori e di funzionalit? epatica. Le indagini strumentali pi? appropriate per stadiare la malattia sono la RX scheletro e la Risonanza Magnetica Nucleare. Per la diagnosi di certezza ? necessario riconoscere, su preparato istologico di midollo osseo o altro tessuto lesionale ( linfonodo, cute, fegato, tumefazione dei tessuti molli,) la morfologia e il fenotipo specifico per le cellule di Langerhans (S100, ATPase, CD1a).
Il protocollo terapeutico internazionale, denominato LCH III, stratifica i pazienti secondo due fasce di rischio:

  • alto rischio, per le forme multisistemiche con disfunzione d’organo che presentano una probabilit? di sopravvivenza, in caso di cattiva risposta alla terapia, molto bassa.
  • basso rischio per le forme senza disfunzione d’organo o localizzate, in cui la prognosi ? migliore ma la probabilit? di recidiva e cronicizzazione ? alta.

LA LINFOISTIOCITOSI EMOFAGOCITICA FAMILIARE

“Ogni anno in Italia un bambino su 50000 nati vivi si ammala di Linfoistiocitosi emofagocitica familiare(FHL), il 20% di questi muore precocemente, una quota equivalente rimane disabile in maniera permanente”. Sembra una notizia giornalistica ma la realt?, a volerla spiegare meglio, non ? molto diversa.
Siamo di fronte ad una patologia, la FHL, molto rara, a trasmissione genetica, difficile da diagnosticare e che presenta un esito per lo pi? infausto nel giro di pochi mesi se non trattata tempestivamente.

IL MESSAGGIO POSITIVO ? CHE DA QUESTA MALATTIA SI PU? GUARIRE

I fattori limitanti per ottenere un successo terapeutico sono vari e non tutti ancora affrontati:

  • solo recentemente sono stati identificati gli errori genetici che sono alla base del meccanismo patogenetico, molti sforzi devono essere ancora fatti per comprende a pieno la eziopatogenesi e le svariate forme sotto cui la malattia si pu? manifestare.
  • In genere colpisce i bambini in un’et? compresa tra i primi mesi di vita, si eredita con modalit? autosomica recessiva per cui l’eventualit? pi? frequente che si verifica ? che una coppia di giovani genitori conoscono la malattia quando il loro primo ed unico figlio ? affetto.
  • Questo pone due tipi di difficolt?: una diagnostica in quanto bisogna risalire a volte ai trisnonni per scoprire che c’? un grado di parentela che aumenta la probabilit? che i discendenti possano essere malati o per scoprire che in precedenza un membro della famiglia sia gi? stato colpito da questa malattia in tenera et? senza che abbia mai ricevuto una diagnosi corretta, ne una corretta terapia perch? difficilmente il soggetto malato avr? disponibile un fratello o sorella HLA compatibile per praticare un trapianto di midollo osseo.

COME RICONOSCERLA ED AFFRONTARLA

Si manifesta nel lattante con febbre, splenomegalia e pancitopenia ed ? caratterizzata da una massiva infiltrazione linfo-istiocitica di tutto il sistema reticolo-endoteliale (fegato,milza,midollo osseo, linfonodi) e del sistema nervoso centrale; gli istiociti si ritrovano in atteggiamento di attiva fagocitosi cio? di ingestione di altre cellule da cui il nome deriva la denominazione.
I sintomi iniziali sono aspecif?ci: febbre, infezione delle prime vie aeree, pallore, anoressia e irritabilit?. Solo quando la malattia entra in fase attiva, la situazione clinica diventa critica. Possono comparire ittero, un rash cutaneo persistente, ascite ed edemi; i segni neurologici come da ipertensione endocranica, segni meningei e convulsioni possono comparire in un quinto dei casi e possono essere tali da dominare il quadro clinico. La diagnosi differenziale si pone con altre patologie di altrettanta rilevanza clinica come la mononucleosi infettiva, la leucemia, le sepsi gravi, epatite ed encefalite o con altre sindromi genetiche e/o immunodeficienze gravi. A volte pu? essere scatenata o essere secondaria ad infezioni, le pi? frequentemente implicate sono quelle virali ma anche batteriche, parassitarie e fungine; anche le forme secondarie, denominate ” VAHS “possono essere associate ad alta mortalit?.
La patogenesi ? legata alla regolazione del sistema immunitario, con riduzione della citotossicit? cellulare, in particolare dei linfociti T e N.K. ed aumentata produzione di citochine.
Marker tipico ? il difetto severo della attivit? delle cellule N.K. che rappresentano le cellule Killer in grado, cio?, di uccidere le cellule bersaglio (cellule vecchie, disfatte, microrganismi patogeni come virus, batteri etc, cellule estranee come cellule atipiche o neoplastiche. Questa alterata apoptosi (morte programmata delle cellule) risulta in una proliferazione non controllata delle stesse cellule effettrici.
Alla base di questo difetto, recentemente sono state individuate una o pi? alterazioni genetiche. La prima di queste, identificata nel 30- 40% circa dei soggetti malati, consiste nella presenza di mutazioni nel gene della Perforina, proteina, in grado di formare un canale di trasmissione transmembrana del linfocita T ed N.K. per il passaggio di citochine effettrici del danno cellulare. La seconda pi? recentemente dimostrata, ? la mutazione Munch che produce una alterazione, a valle del meccanismo di apoptosi, nella formazione delle vescicole primarie che rilasciano le citochine aprendosi nella cellula bersaglio.
Appena viene posto il sospetto di una sindrome da attivazione istiocitaria e prima che entri nella fase attiva c’? bisogno di prendere in carico il paziente, accertarsi della diagnosi, attraverso procedure ultraspecialistiche, quali la valutazione morfologica del midollo osseo e/o linfonodo, la tipizzazione fenotipica del pannello linfocitario, la valutazione funzionale della attivit? N.K. ed eventualmente la determinazione della sequenza genetica delle mutazioni.
Eseguire una stadiazione della malattia con esami quali la TC, RM, rachicentesi.
Iniziare la terapia con tarmaci antineoplastici ed immunosoppressivi, in attesa di avviare il paziente ad un trapianto di midollo osseo da donatore HLA identico familiare e non, in grado di consolidare definitivamente la guarigione del paziente.